domenica 9 agosto 2015

Favole di ritorno

Popi?

Dimmi Pomi.

Mi racconti una storia?

Certo

Bella, però. Non come quella della volta scorsa

Va bene.
C'era una volta una principessina russa. Viveva con i suoi genitori nel centro della Siberia, in una zona brulla e desolata. Aveva appena compiuto vent'anni, ed era talmente bella che tutti i nobiluomini russi, giovani e non, volevano sposarla, e percorrevano chilometri e chilometri di tundra siberiana in slitta pur di poterle parlare almeno una volta.

Pensavano di innamorarsi parlandosi solo una volta?

È una favola, Pomi. 
Lei, però, non si innamorava mai. Aveva conosciuto principi, conti, nobili di ogni sorta, ma nessuno di loro le era piaciuto. Aveva anche dei gusti particolari, va detto.
Una sera, mentre la principessina passeggiava nel suo pezzo di tundra domestica, suo padre la chiamò per la cena. Lei non lo sapeva, ma quella sera era ospite un giovane principe decaduto, che a dirla tutta era arrivato per caso perché si era perso e, poiché era ormai sera e aveva fame, aveva cercato ospitalità presso la loro famiglia. 
Non appena la principessina entrò in sala da pranzo, il principe decaduto si innamorò di lei. E lei di lui. 

Senza neanche parlare?

Pomi, ma vuoi stare zitto?
I due passarono la cena scambiandosi sguardi amorosi. E passarono poi il dopocena a scambiarsi promesse amorose. Lui sarebbe partito il mattino dopo a cercare un testimone - in Siberia non è che ci siano tutti queste persone in giro - e sarebbe tornato per sposarla immediatamente. Lei acconsentì. Alle prime luci dell'alba lui salì sul suo cavallo traballante, le mandò languidamente un bacio e sparì all'orizzonte. 
Dopo qualche giorno, però, arrivò una lettera. Il principe decaduto aveva trovato una testimone, ma si era innamorato anche di lei. E, poiché lei aveva una sorella e un fratello disponibili, i testimoni erano diventati loro, e un altro matrimonio era stato celebrato. Alla nostra principessina si spezzò il cuore ma, per una strana logica, che in realtà le era propria, prese ad aspettare il di lui ritorno. La magia era stata troppa, pensava. Non può avermi dimenticata così. Tornerà.
Iniziò così a passare le sue giornate seduta su un masso della tundra, struggendosi nel ricordo e crogiolandosi nella speranza. Tornerà, pensava. È destino. 
Passavano i giorni. La principessina aveva ormai anche mal di schiena a forza di stare seduta sul sasso, ma non si arrendeva. Lo sguardo fisso all'orizzonte, non muoveva un muscolo. Versava qualche lacrima, anche più di qualcuna, ma non si muoveva da lì.

E poi?

Poi, dopo una settimana, una tigre siberiana di passaggio l'attaccò, le staccò la testa e si mangiò il resto. I genitori se ne accorsero dopo qualche giorno, e, poiché la notizia della morte della principessina ancora non si era sparsa e i pretendenti continuavano ad arrivare, fecero costruire una ferrovia per togliere loro almeno la fatica del viaggio di ritorno. Quella ferrovia c'è ancora, e si chiama Transiberiana. Un giorno dovremmo andare a vederla, sai Pomi?

Popi, questa storia fa più schifo delle altre.

Non mi sembra, sai Pomi? A me è piaciuta. 

venerdì 31 ottobre 2014

Perché

Perché perché perché perché.
Perché non ho idee politiche.
Perché non ho una personalità formata, pur avendo anche troppe forme.
Perché non so cosa siano stress, scazzo e stanchezza, anche se ne sono perennemente afflitta.
Perché ho la testa vuota, anche se dovrebbe essere continuamente piena, e ho il cuore sgonfio anche se continuo a riempirlo.
Perché mi sento vecchia, già prima di arrivare a venticinque anni.
Perché vorrei scrivere, ma le mani non collaborano.
Perché mi sembra tutto banale e già detto, e andare avanti inutile.
Perché la vita non me la sono mica scelta io, chi mi ci ha messa - a me - proprio in questo mondo?
Perché scrivo a caso, e spero che nel disordine qualche senso ci sia.
Perché quel senso di completezza armonica e universale non so cosa sia e quindi che senso ha cercare di raggiungerlo.
Perché tutto tutto tutto quello che cerco di fare alla fine ha qualche difetto - che è dato dal fatto di essere fatto da me, è un difetto di marca. Ma e gli altri?
Perché questi altri mi stressano. Ma se non ci fossero mi mancherebbero.
Perché vorrei andare un sacco avanti, per poi voler tornare indietro.
Perché gli elenchi puntati mi aiutano a creare un senso, una stabilità finta che intanto mi annulla nella banalità.
Perché crescere, che fatica, però pensavo che a un certo punto ci si abituasse.
Perché la fame non passa mai, e l'angoscia del corpo aumenta sempre.
Perché un aiuto esterno, su certe cose, alla fine serve fin là.
Perché sono sempre imperfetta - e non è vero che si è perfetti con le proprie imperfezioni.
Perché mi girano le balle, e in qualche modo devo pur sfogarmi.

giovedì 3 aprile 2014

Una favola


Popi?

Dimmi Pomi.

Mi racconti una storia?

Va bene.

Bella, però.

Ve bene.
C'era una volta una ragazza bellissima. Viveva in una casetta di campagna, da sola, dove coltivava un piccolo orto e allevava oche bianche. Quando andava al mercato nel paese vicino a vendere la verdura e le uova che raccoglieva, tutti si fermavano al suo banchetto a comprare qualcosa pur di poterla guardare da vicino: aveva un viso incantevole, illuminato da una bocca sempre sorridente e da due grandi occhi grigi.
Un giorno, mentre tornava a casa dopo aver venduto tutto ciò che aveva portato con sé al mattino, vide in un banchetto un oggetto che l'attirò molto: sembrava un piatto, ma non era un piatto, e sembrava anche un vetro, ma non era neanche un vetro. Chiese al venditore cosa fosse, e lui le disse: “è uno specchio, signorina. Guardandoci dentro vedrà ciò che lei desidera essere”.
La ragazza bellissima decise di comprarlo, e tutta soddisfatta se lo portò a casa.
Alla sera, dopo aver nutrito le oche e innaffiato le zucche, si mise comoda in poltrona e prese lo specchio. Lo avvicinò al viso, pronta a vedere “ciò che desiderava essere”... E trovò il riflesso di una faccia minuta, arrampicata su un collo sottile ed elegante. Vide le ossa delle clavicole leggermente in evidenza, e due spalle magre avvolte dallo scialle che aveva indosso.
Appoggiò lo specchio e si tastò piano le guance. Se quello che aveva appena visto era ciò che lei desiderava essere... Dunque non poteva essere già così. Ma com'era, allora? Sotto le sue dita il viso parve immediatamente grassoccio e flaccido. Fece inavvertitamente cadere a terra lo specchio, che si ruppe in mille pezzi, ma non ci fece caso. Le spalle sembravano massicce, le ossa sepolte sotto strati di carne. Continuò a tastarsi le braccia, i fianchi, la pancia: tutto le pareva deforme e sovrabbondante.
Siccome era una ragazza che non si arrendeva facilmente, decise che sarebbe diventata come voleva essere. Ma come poteva fare?
Il giorno seguente, al mercato, comprò un libro intitolato “Rimodellarsi”. Il primo capitolo parlava di attività fisica, come la corsa. La ragazza bellissima, appena tornata a casa infilò un paio di scarpe da ginnastica e uscì a correre.
Giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro, iniziò a conoscere le persone che abitavano nelle case lungo il suo percorso. Siccome era sempre sorridente, anche quando era stanca e sudata come un asino, le vecchiette iniziarono a fermarla e a invitarla a prendere una tazza di tè e una fetta di torta “per riprendersi dalla fatica”. La ragazza era troppo buona per rifiutare le offerte, e accettava sempre. Fetta di torta dopo fetta di torta, i suoi allenamenti persero la loro funzione dimagrante, ma poiché la ragazza bellissima aveva rotto lo specchio e non aveva letto il capitolo sull'alimentazione dietetica del libro “Rimodellarsi”, non si fermò.

E poi?

E poi un giorno la trovarono a letto morta stecchita. Diabete. Fecero un funerale modesto e molto triste. L'orto venne preso in gestione dal comune e trasformato in un parco giochi, e le oche vennero impiegate in una fabbrica di piumini: nessuno le vide più.

Popi, credo di non capire la morale della tua storia...

Mai cercare di dimagrire, Pomi. Mai.  

sabato 22 marzo 2014

Banalità



Popi?

Dimmi. 

Ho ancora un problema. 

Solo uno?

È uno grande. 

Sentiamo. 

[Pomi si accovaccia sul divano di fianco a Popi, che imperterrito continua a fare le parole crociate]

Non sono sicuro. 

Iniziamo bene!

Di quello che sento, voglio dire.

Mh.

Un giorno è sì, sì, sì, voglio, lo voglio, sposiamoci e stiamo assieme per sempre. Un giorno è sì... Forse. Il giorno dopo ancora è ti prego no, lasciami. Lasciami tu perché io non ce la faccio. A ciclo continuo. Mi spossa. Lo ferisce, e non voglio.

Mh. 

Cioè. Capisci, Popi! Mi sento male! È avere una gamba per barca, fa venire la nausea. Poi nel momento in cui riesco a mettere piede a terra, o su un accidenti di pontile, è come spiccare il volo. Cuoricini che volano da tutte le parti. 
...Mi sembra di sbagliare tutto, e di tirare nel vortice anche lui. Non so come fare!

Sì che lo sai. 

No, non lo so, non lo so! 

Sì che lo sai, Pomi. 

No. 

Sì. Pensaci. Prima di tutto: lui. È lo stesso, per lui? È innamorato? È pazzo di te?

No! È... È tranquillo. Lui... Non ha i miei problemi. Mi vuole bene, ma con calma.

Vi volete bene, Pomi. Gli vuoi bene anche tu, e c'è qualcosa di buono, sotto. Altrimenti non avresti questi dubbi. Saresti innamorato come un coglione, certo e sicuro di te, e pronto a sbattere il naso contro la realtà una volta spenta la cotta. Perché quella sarebbe una cotta da quindicenne, Pomi. E la cotta si spegne, ed è meglio così, fidati. Si spegne, e la volta dopo che cominci a sentire qualcosa hai paura e non sei sicuro. Come adesso. 

Mh.

Ciò detto - ...quindici verticale, solo e spinoso, sei lettere?

Cactus.

Bravo! Dicevo. Provate qualcosa entrambi, su questo non ci piove; e a volervi bene non fate male a nessuno. Quindi non c'è motivo per cui non dovreste stare insieme, ed essere felici l'uno dell'altro. Hai capito? 

Sì.

Vai da lui, corri. 

[Pomi si alza in piedi e scatta verso la porta]

Pomi!

[si ferma] Sì?

Sette orizzontale, sei lettere: si dice dopo un consiglio?

...Grazie.

Bravo. Vai!



domenica 16 marzo 2014

A volte ritornano



Popi?

Dimmi Pomi

Mi racconti una favola?

Va bene.

Bella, però. Non come quella della volta scorsa.

D'accordo.
C'era una volta un paese molto ordinato, dove viveva un bambino di nome Antoine. Antoine aveva quattro anni ed era figlio di due musicisti; poiché nel paese molto ordinato ciascuno doveva seguire ordinatamente il mestiere dei suoi genitori, Antoine iniziò a studiare musica sotto la guida della sua mamma, e per diversi anni non fece altro: dalla mattina alla sera studiava diligentemente, senza mai opporsi, perché nel paese molto ordinato era questo che si faceva. Divenne presto un bravissimo musicista: si diplomò alla scuola per musicisti del paese ordinato e fu pronto per iniziare la sua ordinatissima carriera.
La sera del suo debutto nel teatro del paese molto ordinato, Antoine era pronto a stupire tutti con il suo talento. Si sentiva pronto. Era carico di adrenalina e anche orgoglioso di come si era preparato: portava un elegantissimo frac e delle scarpe lucide come specchi. Nel momento in cui si spensero le luci e salì sul palco, però, Antoine iniziò a sentire una terribile nausea: tutto iniziò a dondolare davanti ai suoi occhi per le vertigini, e dopo pochi secondi dovette correre dietro le quinte a vomitare. Poi svenne.
All'ospedale del paese molto ordinato, dove venne portato di corsa, gli diagnosticarono un potentissimo mal di mare, causato dal fatto che le tavole con cui era stato costruito il palcoscenico del teatro provenivano dal pontile di una nave che ai tempi della fondazione del paese molto ordinato si era arenata vicina alla spiaggia. Poiché nel paese molto ordinato i musicisti potevano suonare solo nel teatro, Antoine avrebbe dovuto trovare una soluzione, o la sua carriera sarebbe finita prima ancora di cominciare. E nel paese molto ordinato questo era inammissibile, poiché è noto che la fine viene dopo l'inizio, non prima.
Un giorno lo andò a trovare Pita, una sua amica. Anche Pita era figlia di due musicisti, e anche lei aveva studiato musica, ma con risultati meno promettenti di Antoine.
“Pita, sono molto preoccupato” le disse Antoine. “I dottori dicono che non c'è una cura. Come farò a suonare?”
Pita lo osservò a lungo grattandosi il gomito sinistro, come faceva sempre quando stava per avere un'idea grandiosa.
“Antoine” disse Pita “è da tanto che ci penso, ma non ho mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Pensa se fuori dal nostro paese ci fosse un altro paese, o tanti altri paesi. Magari diversi dal nostro! Magari con un teatro in cui il palco non è fatto con le tavole di una na...”
“Nonono, Pita, ti prego, non dire quel nome!” la interruppe Antoine, già bianco come un lenzuolo.
“Scusami Antoine. Dicevo, pensa se ci fossero tanti altri teatri, oltre al nostro. Teatri con palcoscenici fatti con tavole apposta per palcoscenici. Lì potresti suonare e diventare un grande musicista!”
Antoine pensò che Pita fosse davvero una grande amica, e nel giro di poco tempo organizzarono un viaggio alla ricerca di nuovi palcoscenici.

Popi?

Sì?

Tra quanto finisce?

Tra tanto.

Ma io ho sonno.

Ti faccio un riassunto: Antoine e Pita viaggiarono a lungo, e incontrarono davvero tanti altri paesi: paesi disordinati, in cui ognuno faceva quello che voleva. Paesi in cui chiunque poteva decidere di fare il lavoro che preferiva, o di innamorarsi di chi lo faceva essere davvero felice. Tutti questi paesi, però, erano senza teatro. Quando finalmente, dopo lunghe settimane di viaggio, Antoine e Pita arrivarono al paese con il teatro, Antoine non voleva più suonare. In quei giorni aveva scoperto che ciò che realmente amava fare era il meccanico, e di musica e ore di studio non voleva proprio più saperne. Tornò in uno dei paesi dove era stato, e divenne apprendista meccanico. Dopo qualche anno aprì la sua officina, sposò la figlia del fruttivendolo ed ebbero quattro bambini, che erano sempre disordinati e sorridenti.

E Pita?

Pita tornò al paese molto ordinato, dove, eliminata la concorrenza di Antoine, divenne la più brava musicista del paese.

Popi, credo che le tue storie non mi piacciano molto.

Buonanotte Pomi.



venerdì 10 maggio 2013

disposofobie croniche




Popi? [Pomi entra in cucina. Sono le otto del mattino, Popi sta leggendo una rivista di cucina mentre sorseggia una tazza di caffè]

Sì?

Ho scoperto una cosa bruttissima!

Sì?

Popi?

Sì?

Ma mi stai ascoltando?

No.

Ti odio quando fai così.

Sì?

No.

Mi fa piacere.



[Pomi marcia nervosamente per la cucina, aspettando]


[Popi chiude la rivista di cucina che stava leggendo, posa la tazza, fa un gran respiro e alza finalmente gli occhi] Allora, cos'è questa cosa bruttissima?

Morirò solo e in poltrona!

Mh. Ne sei sicuro?

Centopercento.

E come fai ad esserne così certo?

Vivo di passato, Popi! Respiro passato! Parlo solo del passato! Tutto: ricordi del passato, domande sul passato, rimpianti del passato, interpretazioni e seghe mentali solo sul passato! Sono un passatofilo, accidenti! Un disadattato temporale! Se esco e gli altri si domandano in che bar andare a prendere l'aperitivo, io chiedo quando hanno bevuto il loro primo bicchiere di vino. Poi mi guardano strano.

Mh.

...

Servisse a qualcosa! Tipo costruire una base più certa per qualcuno: faccio domande sul passato della persona per costruirle un... Un che ne so, un piedistallo. Poi la pianto sopra e la posso vedere per bene, in tutti i suoi aspetti. Se era per terra rischiavo di non vedere i piedi, e poteva essere la persona con i piedi più belli del mondo.

Le tue teorie sui rapporti sociali mi affascinano sempre, Pomi.

O magari non aveva proprio i piedi.

Possibile anche questo.

Ma poi mi viene il dubbio che sia una paura del presente! E allora vivo, vivo davvero? Mi perdo l'attimo perché sono ancora girato dall'altra parte! Costruisco il piedistallo e intanto la statua si sgretola!


Capisci, Popi! Poi diventerò vecchio, sarò solo in mezzo alla polvere delle ex-statue e quando me ne accorgerò non avrò neanche la soddisfazione di dire “oh, adesso che sono vecchio e solo posso cominciare a rimpiangere ciò che è stato!”, perché saranno anni e anni che non starò facendo altro! Non avrò neanche quella novità, così mi troverò ad annoiarmi fino a morire in poltrona con il televisore acceso su una televendita di materassi!

...

...


Però.

...

Pomi, sai cos'è la disposofobia?

La paura di sposarsi.

Non proprio. È più una tendenza all'accumulo compulsivo di cose, anche inutili. Nel tuo caso, potrei dire che tendi a un accaparramento del passato: invece di tenerne una giusta percentuale, diciamo un trentatrèpercento, esondi, come tuo solito. La percentuale sale a un novantapercento, così tu ti senti soffocare per la polvere.


Oppure le stupidaggini. Credo che la tua testa sia un ottimo esempio di Accumulatore Compulsivo di stupidaggini.



Posso dire che anche il mio corpo è disposofobico, Popi?

Perché?

Sono ingrassato ancora.

Credo che quella sia più la tua tendenza alle brioches, sai Pomi?




sabato 16 marzo 2013

atomi.



[Pomi alla scrivania. È sera, probabilmente dopo le undici. Sta leggendo da un'agendina azzurra di qualche anno prima. I fogli sono leggeri, l'inchiostro è nero, la copertina di pelle morbida]

"Non sono riuscito a dire bene neanche il primo ti amo. Che disastro che sono. È venuta una cosa tipo «tmgff...». Pace. Tanto dire «il primo ti amo» è una stupidata: ogni ti amo sarà il primo, mi sa. Anche se non voglio che ce ne siano altri.
È una cosa così grande! Come fa a stare dentro cinque lettere, dico io. Cotta la puoi dire con cinque lettere. Una cotta, una cosa così, da cinque lettere e via.
Ma ti amo?
Troppa roba, troppa roba.
Come fanno a dire tutto! Cinque lettere per dire quello che sento per te... Ma siam pazzi. E scriverlo!
No, ma perché dirlo... Hai l'intonazione, il sussurro, quello che vuoi. Gli dai un certo che. Ma scriverlo è proprio avvilente. «Ti amo!!» suona finto entusiasmo. «Ti amo»... Na. Finto intellettuale distaccato.
Magari mescolando un po' le lettere diventa un po' più interessante. Motia. Timoa. Tmioa. Tmioa bello, sembra un po' "tu mio". Amoti. Atomi. Atomi! Atomi mi piace. Ogni cosa è fatta di atomi! Atomi, d'ora in poi dirò atomi. Chissà se mi capirà.
Io e te sono altre cinque lettere. Saranno anche con due spazi, ma son pur sempre cinque lettere. Dice già di più. Io e te. E quasi non ci posso credere! Io. E. Te. Siamo noi due dentro cinque lettere. Noi due vicini, dentro una frase sola: io e te. Che bello. Non riesco a smettere di dirlo: io e te, io e te, io e te, io e te. Atomi."

Cosa leggi? [Pomi, armato di candela e berretto da notte, è apparso alle spalle di Pomi]

Niente! [Pomi chiude velocemente l'agenda]

Cos'è? È tua?

No. Un amico. Me l'ha prestata. Ha scritto... Un dialogo. Vuole un parere. Vado a lavarmi i denti. Buonanotte. [Pomi svicola e scappa fuori dalla stanza]

[Popi resta solo nella stanza. Aspetta che di sentire la porta del bagno che si chiude, poi si avvicina all'armadio, apre il cassetto che nasconde il nascondiglio segreto: i pantaloni strappati sono ancora lì. Sospira, poi richiude il cassetto.
Spegne la luce, esce dalla stanza]

Buio. 

venerdì 8 marzo 2013

ancora

Pomi

sì?

guarda che li ho trovati sai

...

perché ti ostini? Vanno buttati! Non c'è più niente da riparare, l'hai capito anche tu.

Non sono pronto!

...

Guru mi ha detto che se prendere una decisione costa troppo dolore vuol dire che non è il momento giusto per prenderla.

Pomi, ma se ti costa troppo dolore anche non prenderla, forse è il momento di pensare in termini un po' più ampi e non limitarsi al momento.

sì, ma

sì ma niente.

...

lo sai che è così

sì. Ed è tanto difficile.

Lo so, Pomi. Lo so.

...

Ma ci sono qui io con te.

sabato 2 marzo 2013

Strappi - ultima volta

È un po' l'ultimo di questi strappi qui, di esattamente un anno fa. Erano stati un po' una premonizione, diciamo.
Eh già.
Purtroppo.




[Pomi entra nella stanza; indossa un paio di pantaloni di tela piuttosto larghi: non sembrano di gran qualità, hanno diversi rattoppi e uno strappo molto grande al cavallo. Popi sta guardando un telefilm in russo al computer.]

Popi...

Dimmi Pomi.


Che succede?


Pomi? [Popi si gira e vede Pomi che scoppia in lacrime e scivola a sedere, la schiena appoggiata al termosifone]

Si sono strappati ancora, Popi. Ancora!
[parla piagnucolando, interrotto di continuo dai singhiozzi]
Guarda!

… Pomi, ma che razza di mutande...?

Baaahahaaa! [Pomi affonda il viso tra le mani]

[Popi mette in pausa il telefilm, sposta il computer al suo fianco, si siede per terra vicino a Pomi]

… Pomi...


... 

Pensavo che resistessero, stavolta! Li avevamo riparati!

A dire il vero li avevi sistemati da solo

Sembravano a posto!

Pomi...

Era ricucito!

Pomi, era rattoppato alla buona.




Cos'hai fatto per strapparli di nuovo?

Mi sono arrampicato su un albero.


… [singhiozzo]

Pomi, se ne compra un paio nuovo, dai. [si alza]

Noo, io voglio questi!

Pomi... È un paio di pantaloni come un altro.

Sono speciali! I primi! E sono bellissimi, guarda... Basterebbe una toppa, qui. Magari cucendola dall'interno... Poi farei attenzione, eviterei di muovermi troppo... Potrebbe funzionare!

Ti troveresti con più filo che stoffa, immobilizzato come una mummia e comunque con un paio di pantaloni disastrosi. Ancora più di quanto non lo siano già.



Pomi, ogni benedetto strappo è andato così: grandi pianti, poi una riparazione express, e via di nuovo facendo finta che lo strappo non ci fosse mai stato. E subito se ne apriva un altro. Capisci, Pomi? Non va bene! È la settima volta che succede! E il ginocchio, e i due passanti, e l'altro ginocchio, e gli orli, e la cerniera, e il cavallo... E basta!


...

Non erano neanche della taglia giusta, ti scivolavano via di dosso! Li avevi comprati senza provarli,  ma sono errori che si fanno. Adesso basta buttarli via, dai.



Pomi

[singhiozzo] Non li voglio buttare! [singhiozzo]

E allora chiudili in un armadio! Ma lasciali lì, almeno per un po'. Lascia che stiano lì. Poi magari nel frattempo troviamo un sarto bravissimo che ce li rimette a nuovo, eh? O, se vuoi, te li puoi fare tu! Andiamo a comprare una bella stoffa e impari a usare la macchina da cucire. Che ne dici?




Pomi...

… buttali via tu. [non alza lo sguardo dal pavimento]

...

...

D'accordo.

[Pomi si sfila i pantaloni senza alzarsi in piedi. Popi li prende, apre lo sportello della spazzatura e li butta nel secco.]

Ecco fatto. Dai, adesso andiamo a vestirci che ne cerchiamo un paio nuovo. Stavolta prima te li provi, però. Va bene?

[Pomi annuisce, testa china. Popi sale le scale ed esce di scena. Dopo aver sentito i passi che si allontanano, Pomi sgattaiola verso la spazzatura. Apre lo sportello e recupera furtivamente i pantaloni; li guarda da tutti i lati, poi li appallottola e li infila sotto la camicia. Zampetta in camera e li infila nel nascondiglio segreto sotto all'armadio. Resta qualche minuto in piedi, guardando il cassetto dietro cui sono nascosti. Dondola un po', fa scrocchiare una caviglia. Per un paio di volte fa per riprenderli e buttarli, poi ci ripensa ancora]

Pomi, andiamo? [Popi è pronto per uscire, lo chiama da fuori campo]

Arrivo. [Pomi indossa velocemente un paio di bermuda multicolor e va verso la porta. Spegne la luce.]

Buio.

sabato 9 febbraio 2013

Undici


Le 11 domande per i blog nominati:
  1. Perché hai deciso di aprire un blog? 
  2. Qual è il tuo sogno più grande? 
  3. Hai un rimpianto a cui pensi spesso?
  4. La città dove vorresti vivere? 
  5. Se tu fossi un personaggio storico, chi vorresti essere? 
  6. Che passioni hai? 
  7. Il ricordo d'infanzia più bello? 
  8. Cosa fai nel tempo libero? 
  9. Il tuo colore preferito è (e perché)? 
  10. C'è un libro e/o un film che consiglieresti? 
  11. Avessi una bacchetta magica, cosa cambieresti nella tua vita? 
Emmecosì mi ha tirata dentro questa cosa degli undici blog, e mi ha fatto queste domande. Cioè, le ha fatte a me e ad altri dieci blog.
Poi dovrò dirvi undici cose su di me, e scegliere altre undici persone cui fare undici domande.
E andiamo.

1. Il blog credo di essermelo trovato quando avevo msn. Da lì ho scoperto che averlo mi piaceva e ho continuato, disseminandomi su varie piattaforme.

2. Domanda difficile, provo a rispondere dopo.

3. No, ma ne ho vari a cui penso ogni tanto. Uno tra questi è quello di aver mangiato così tanta pastasciutta alle medie da esser diventata -come mi avrebbero definita per i seguenti dieci anni- "robusta".

4. La città mi mette un po' ansia. Però penso che Venezia potrebbe andare bene.

5. Ohh, un'ottocentesca nobildonna russa. Non necessariamente imperatrice.

6. Sempre le stesse da quando ero piccola: leggere, scrivere, disegnare. LSD. Oddio, non l'avevo mai notato. Comunque no, l'LSD non rientra direttamente nelle mie passioni. Poi farmi domande inutili e cercare le risposte su internet.

7. Tanti.

8. Non ho tempo libero, quindi non mi si pone il problema!

9. Vari, e cambiano.

10. Anna Karenina come libro e come film La Migliore Offerta. Oppure Il Concerto.

11. Il metabolismo. Lo farei andare come una Ferrari, cacchio.

Undici cose su di me.
Mhmh.

1. ho un solo buco alle orecchie.

2. ho studiato in due conservatori diversi.

3. mi piace portare un anello sul medio.

4. amo i gatti.

5. quando discuto mi trasformo in una mietitrebbia umana.

6. vado pazza per gli scrittori russi, e poi mi sento in colpa se mi annoio leggendo uno dei loro mattoni di novecento pagine.

7. la mia camera potrebbe essere usata per sperimentare i livelli dell'entropia.

8. non sono molto stabile con le opinioni, cambio spesso punto di vista.

9. per un periodo avevo il "mi innamoro di chiunque mi parli" mood.

10. ho usato un mascara per la prima volta in quarta superiore.

11. non sono capace di fumare.





6. Patalice

7. Diciassettenne 

8. LuciusDay

9. Serena

Poi gli altri potrebbero essere i primi che leggono questo post. Vanno bene anche se poi sono più di undici, eh!


Le undici domande, che faccio a chiunque legga -che se ha voglia di rispondere mi fa piacere-

1. hai le mani che si congelano facilmente?

2. fai la raccolta differenziata?

3. da quanto tempo blogghi, e sei fedele al tuo PB (che sarebbe Primo Blog, e non Primo Bacio come dice Lei)?

4. ti piaceva la matematica?

5. se tu fossi un oggetto, cosa saresti?

6. piangevi per andare a scuola?

7. che superpotere avresti, se fosse possibile?

8. ti senti un po' misantropo?

9. quanti libri leggi all'anno? (lit chick fuori dalla lista, please)

10. mac o windows?

11. pensi che l'ananas faccia veramente dimagrire?




Tracy C.

Mi sono innamorata di lei e delle sue canzoni qualche giorno fa. Non potevo non metterne neanche una qui!

Give Me One Reason




Give me one reason to stay here,
And I'll turn right back around
Give me one reason to stay here,
And I'll turn right back around
Because I don't wanna leave you lonely,
But you got to make me change my mind

Baby, I got your number,
And I know that you got mine
But you know that I called you,
I called too many times
You can call me baby,
You can call me anytime,
But you got to call me

Give me one reason to stay here,
And I'll turn right back around
Give me one reason to stay here,
And I'll turn right back around
Because I don't wanna leave you lonely,
But you got to make me change my mind

I don't want no one to squeeze me,
They might take away my life
I don't want no one to squeeze me,
They might take away my life
I just want someone to hold me,
And rock me through the night

This youthful heart can love you,
And give you what you need
This youthful heart can love you,
And give you what you need
But I'm too old to go chasing you around,
Wasting my precious energy

Give me one reason to stay here,
And I'll turn right back around
Give me one reason to stay here,
And I'll turn right back around
Because I don't wanna leave you lonely,
But you got to make me change my mind

Baby just give me one reason,
Give me just one reason why
Baby give me just one reason,
Give me just one reason why
I should stay,
Because I told you that I loved you,
And there ain't no more to say



(il testo l'ho preso in prestito da qui)

martedì 22 gennaio 2013

Strappi - ci risiamo


Questo qua è un post che avevo già scritto, ma dato che me lo ritrovo sempre -ahimé- attuale, lo ripiazzo qua. E non so come si fa a condividerlo, quindi ci faccio un post-clone!
Eh son narcisa, lo so.



Credo sia un po' come con un paio di pantaloni, sai Popi?

Mh? [solleva la testa dal giornale appoggiato al tavolo, nel quale era immerso nella lettura di un articolo sull'estinzione delle formiche a causa dell'effetto serra]

un paio di pantaloni. Hai presente quando si strappano sul cavallo?

Si, ho presente Pomi [si puntella sul gomito, pur senza chiudere il giornale, e assume un'aria vagamente interessata]

eh. Penso sia un po' quella cosa lì. O comunque, tutta una faccenda di rattoppi.

Di cosa stai parlando, Pomi?

[imperturbabile, continua] fai il primo strappo, e ricucire tutto non è un problema. Tanto più se è piccolo. Che poi è difficile che si faccia uno strappo grande dal nulla, no? Strap! O era un materiale di merda, diciamolo, o si vedeva che si aveva iniziato a strapparsi. E allora dagli che ricuci. Può essere una sfida, può impegnarti, ma non è impossibile. E insomma, non dovrebbe essere così complicato riparare uno strappo, no?

Pomi, ti ho riparato dodici paia di jeans strappati sul cavallo, e dopo un mese ciascuno hai dovuto buttare tutto perché gli strappi continuavano a riaprirsi.

Il problema è dopo, dopo lo strappone riparato. Non lo cancelli. Resta lì, bastardo. E tira per riaprirsi. È così difficile trovare bravi sarti, al giorno d'oggi

Grazie, sai

e allora se si riapre? Altro filo altra corsa, via un rattoppo sul rattoppo. E sembra comunque che non ci sia, se è fatto bene. C'è, ma non si vede. E chi se ne frega se l'essenziale è invisibile agli occhi. Questo non è essenziale. È invisibile comunque, ma non essenziale. E se si aprono altri strappi? Se [tono tragico] consumi [ritorno al tono concitato ma normale] la cosa fino a lacerarla il più parti, frammentarla?

Pomi, io continuo a non seguirti, sai

Avanti, avanti, rattoppi su strappi nuovi, rattoppi su rattoppi. Il tutto per non buttare via niente. Ecco! Posso dire che resisto perché non sono consumista! Promuovere una nuova dottrina di comportamento basata sull'ecologismo sentimentale, bella roba, no? Non butto via niente, ma cerco di arginare e riparare per evitare sprechi di relazioni! Comunque, non c'è problema, secondo me.

Splendido

Non c'è problema finché non finisce il filo che usi per riparare.

[Popi, che aveva riabbassato la testa sul giornale, sospira e ha un piccolo cedimento a livello dell'articolazione del gomito sinistro]

Allora là son cazzi. O ne trovi uno nuovo, ma non avrà mai la stessa identica tonalità di quello precedente -è sempre così, quando devi ricucire: hai quei venti centimetri scarsi di filo dello stesso identico colore dell'altra stoffa, ovviamente lo finisci a metà lavoro e non c'è merceria in cui riesci a reperire un nuovo rocchetto di quella tonalità- e allora il rattoppo si vede. O pensi a trovare una soluzione con il passare del tempo. E intanto lo strappo si allarga. Pensi che andrai a cercare il filo domani, e intanto i punti che avevi cucito saltano. Poi domani c'è la nonna che sta male. Il cane ha vomitato sul tappeto e il gatto sul tavolo. La pentola di uova bruciate da pulire. E ciao filo. Dopo un mese ritrovi il lavoro lasciato a metà e lo butti via. Che angoscia. [si siede con uno sbuffo sulla prima sedia] Escludendo la possibilità di avere a disposizione un ottimo sarto, posso dire di essere rassegnato a questa conclusione. A meno che non disponga di un rocchetto di filo rosso infinito. Ma non c'è niente di infinito! Esiste forse qualcosa di infinito, Popi?

La mia pazienza.

È poco funzionale alla questione. Che poi, se avessi un rocchetto infinito, finirei per trovarmi a costruire un qualcosa tutto di filo. E sarebbe filo mio, Pomi, capisci? Non saprebbe più qualcosa fatto assieme. Sarebbe solo mio! Riparazioni su riparazioni, strenui tentativi di non buttare via nulla.

Pomi, prendi un cioccolatino.

No, grazie Popi. Ho lo stomaco chiuso. [si alza ed esce dalla cucina]

o cucito? [urlando, senza rialzare la testa dal giornale]

[la replica di Pomi non è riportabile per questioni di registro linguistico non appropriato]

mercoledì 16 gennaio 2013

Ti amo, ma non a te.

Questo racconto è privo di riferimenti a cose, luoghi, persone eccetera eccetera, come tutti i miei racconti. 
Parlo piuttosto di cose miei, personali, e scusate il narcisismo. 



Margherita lo sa, lo sa da tanto, che negli appunti di Stefano non deve mettere il naso. Lo sa, ma lo fa lo stesso. La curiosità, dicono, è donna, e così è Margherita: donna, anche se da poco. Donna, e lo è diventata anche grazie a lui, grazie al suo Stefano. Stefano di qua, Stefano di là. Neanche Michelangelo, il fratello maggiore di Margherita, ne può più sentir parlare: Stefano è dappertutto. Ormai è un Margherita e Stefano perpetuo. E lei non riesce a lasciarlo un attimo che si sente già sola e lo chiama. “Amore mio”.

Ragazza bella, con gli occhi tristi, non cercare quello che non vuoi sapere, non guardare dove non vuoi vedere. Ragazza bella, con gli occhi tristi, non lo fare.

Un'agenda è aperta tra le sue mani; le parole le scivolano veloci sotto gli occhi, come l'inchiostro ha strisciato sulla carta, allora, -cos'è, quanti anni fa?-: Margherita sa bene cosa vuole trovare, così com'è certa che non ci sarà -non può essere-. La costringe a farlo una forma di masochismo psicotico, la obbliga a una ricerca di certezze nelle assenze -Margherita, non lo capisci che dipendi da tutto fuorché da te!-. Sa che non ci sarà, lo s... 

Ed è solo la seconda pagina: il freddo le invade la testa e cade nei polmoni, le invade il cuore, le congela lo stomaco. Solo una frase, primo pugno. Rialzati, Margherita; rialzati, non è niente. Lecca le ferite, veloce, e continua. Non fermarti. Cerca, scava, scandaglia i fondali delle tue paure. Ferisciti, colpisciti, fatti del male, devi sanguinare, Margherita!, e poi rialzati, più forte di prima. Scardina la paura, il sospetto, il dubbio.
Distruggili, come loro distruggono te.

I fogli girano, veloci: le frasi saltano: non c'è il soggetto che cerca, il verbo che vuole. Via, via, velocemente, senza perdere tempo. Avrai il momento per dolerti quando avrai trovato ciò che, lo sai, dai, non può esserci. Margherita indugia su un avverbio, si lascia incantare da un aggettivo, da un pensiero, una parola. Legge, ma poi ricomincia la corsa. Abbevera il cavallo, lo lascia riposare mentre lei controlla la pistola, poi via in sella, ricomincia la fuga dalla paura che la perseguita.

Ragazza bella, con gli occhi tristi, non cercare quello che non vuoi sapere, non guardare dove non vuoi vedere. Ragazza bella, con gli occhi tristi, non lo fare.

Ventisettesima pagina.
ti amo”
non è per lei.

Margherita continua a leggere
e
ogni
lettera
è
un
graffio
al
cuore
che la lacera nel profondo
e la brucia di ghiaccio.

L'inchiostro le annerisce i pensieri: sale attraverso gli occhi a oscurarle il cuore, le membra, l'anima. Sente freddo, sente il respiro che manca, sente i frantumi delle speranze e delle certezze che credeva di avere in mano, ora esplose, che la feriscono ovunque; la pelle sanguina, ma sanguina dentro, e fuori è così liscia, come può esserlo, così li
ti amo”
ti amo”
ti amo”
Cinque lettere, tre vocali, due consonanti, uno spazio: l'eco della sua gioia, della passione inarginabile che la travolge sempre si trasforma in un ululato selvaggio che la sbriciola, la strema, la lascia senza fiato mentre annega nella tristezza che risale: eccola, ritorna, era scemata, era sparita da tempo, era sconfitta, ma ora ritorna, ritorna e la soffoca, la distrugge, la corrode, le disperde i pensieri in un soffio di vento ghiacciato.

Ragazza triste, dagli occhi belli, non lo cercare, non lo trovare. Ragazza triste, dagli occhi belli, non lo fare.

Margherita è svuotata, è di sasso. Stefano, seduto al suo fianco, legge con lei, sordo allo stridere che la tortura, cieco al freddo che la divora.
Margherita soffoca, la nausea sale. Il suo corpo non le risponde: lei pensa, ricerca le forze e la ragione: “era anni fa, era anni fa, era anni fa, è finita, ci sono io, ama me, io amo lui, è finita, pensa ad adesso, ora, ora, io e lui, io e lui, io e lui”
ma non ce la fa, e il viso non riesce a reggere una maschera di piombo. Si contrae in una smorfia senza espressione, senza sangue a colorarla. Pallida, pallida; pallida come la tristezza che la perfora da ogni lato. Pallida come la nebbia di lacrime che sente dietro agli occhi. Pallida come la sua anima, che le pare così scialba.

Margherita è impietrita; fredda, dura, prosciugata. Disanimata.
Stefano, al suo fianco, legge e ricorda.

Margherita sente il suo amore, silenzioso, scivolare fuori dalla porta.
Si volta a guardarlo.
Il blocco di ghiaccio nel suo petto ha uno spasmo.
Amore mio”.