Fu quando la signora
delle pulizie, la mitica Signora Maria, si rifiutò di lavorare da
noi per un giorno di più che capimmo di avere esagerato: è per
questo che qui da noi l'estate 2012 verrà ricordata non come
l'estate del Gran Caldo, ma come l'estate del Grande Riordino. Su ciò
concorderanno anche i vicini, testimoni di carovane di casse di
rifiuti -ovviamente differenziati- provenienti dai meandri più
reconditi della nostra magione.
Dopo la dichiarazione
d'indipendenza e la presentazione della “Carta dei Diritti della
Signora Maria” -i quali includevano il rifiutarsi di agire in
circostanze che le mancassero eccessivamente di rispetto-, la
situazione che si presentava nella casa era desolante: ovunque si
scontravano le grandi potenze degli assortimenti di qualsiasi cosa
-dall'abbigliamento alle pietanze- schierate nelle alleanze
inverno-estate. Nel limbo del salotto si potevano trovare sia gli
scarponi da sci che le bucce di un'anguria, per dire, mentre in
cantina si ammirava ciò che all'apparenza avrebbe potuto essere una
sperimentazione di tecniche di coltura di muffe di vario genere.
Davanti allo sfacelo, all'abbandono della nostra fidata alleata e
alla previsione di due mesi di tempo a disposizione -vuoi che non
bastino?- mia mamma, condottiera instancabile nelle sfibranti
battaglie contro il disordine casalingo, decise che era il momento di
prendere in mano la situazione.
Fu la fine.
Ignorando cocciutamente
la proposta filiale di ingaggiare un'impresa di pulizie altamente
specializzata e rendersi irreperibili per un mese, la madre, armata
di sacchetti per la raccolta differenziata, scese nell'interrato,
regno incontrastato del caos primordiale.
Incurante delle
difficoltà che le si prospettavano si stabilì nel mezzo e diede
inizio ai lavori.
Cinque minuti dopo,
risalita alla luce del sole, afferrò i tre figli per le orecchie e
li trascinò con sé nelle tenebre: chi fa da se fa per tre,
d'accordo, ma, credetemi, in quel caso era meglio essere in quattro e
magari sperare di fare per dodici.
Il casino eterno si
divideva in tre principali strati: litosfera, astenosfera, mesosfera.
Mai, secula seculorum, l'azione di pulizia era riuscita a giungere
alla mesosfera.
Litosfera: il casino
superiore. Rigido. Impenetrabile. Un manto onnipresente, composto di
libri, cartoni, divani, scarpe. Romperlo per penetrare all'interno e
operare alle sue spalle? Impossibile.
Unica la tattica per
sconfiggerlo: smantellarlo, in un'operazione di logorio a lunga
durata, per la quale la generalessa madre venne detta la
Temporeggiatrice. Giorno dopo giorno, metro dopo metro, la litosfera
veniva scalfita nei suoi punti nevralgici, permettendo agli
scopettoni e agli stracci di insinuarsi subdoli sotto l'immobile
armata difensiva, giungendo, infine, alla trionfale entrata del mocio
vileda nel sottoscala. Uno a zero. Lo strato superiore era stato
eliminato: i primi libri raggruppati in colonne, le scarpe in un
angolo, i divani addossati alle pareti. Si cominciavano a individuare
i cosiddetti “muceti”, avversari sempiterni di mio papà.
Letteralmente: “piccoli mucchi” , sono costituiti di oggetti
generalmente di stessa tipologia (si parla di calzini così come di
telecomandi senza pile) che vanno a crearsi negli angoli o, nei casi
estremi, anche nel mezzo della stanza. In questo caso costituivano i
residui non eliminabili di litosfera, ed erano dappertutto.
Ma era solo l'inizio.
Astenosfera.
Caratteristiche fisiche: indecifrabili. Miscuglio semovente di
rottami e/o oggetti la cui data di produzione varia in un arco
temporale di circa cinquant'anni.
Erano passate solo due
settimane dall'inizi della missione, e il prospetto di aver compiuto
solamente un terzo del lavoro era sconfortante. Fu dunque necessario
l'avvento dei rinforzi: sei nuove Billy, librerie Ikea con ante di
vetro e sei ripiani, la costruzione delle quali parve inizialmente
essere un passo indietro nella conquista dell'ordine dello
scantinato, vennero strategicamente poste ai quattro angoli
dell'ampia stanza. Situata al centro del rettangolo difensivo, sedeva
mia mamma, accerchiata di quaderni delle elementari, affiancata da un
enorme scatolone di carta da buttare e con un vecchio quaderno tra le
mani
“mamma...?”
“ma come faccio a
buttarlo via! Guarda -lo apre, mostrando la mia calligrafia incerta e
infantile dei primi anni delle elementari-! No posso mica buttare
via tutto, come faccio!?”
Osservo la situazione:
nella cassa di carta straccia, nulla. Davanti a lei, un
caratteristico muceto composto di quaderni scampati al riciclo e una
miriade di altri fogli evidentemente non cestinabili. Sospiro. Come
convincere la propria madre a gettare per sempre un pezzo di carta,
testimone immutabile di un passato, per rimanere con il mutare
imprevedibile del figlio presente? Come dirle “mamma, ma hai me,
adesso, me! Non il quaderno, un quaderno vecchio e muto, hai me, che
cambio, che vivo: hai il mio divenire sotto gli occhi, e ti vuoi
ancorare a idoli vuoti! Mamma!” e svegliarla dalla contemplazione
di ciò che è andato, quando anche a noi trema la mano nel afferrare
un foglio scarabocchiato quindici anni fa per buttarlo nella carta da
riciclare?
Simili situazioni paiono
insolubili: ed è per questo che, generalmente, mi allontano dalla
scena, lasciando la mamma alle sue decisioni. Ciò porta a ritrovarsi
con un gran numero di scatole clandestine pronte a essere imboscate
in un luogo segreto, ma non importa.
Parallelamente
all'esplorazione e decostruzione dell'astenosfera, in casa
procedevano il riordino delle camere da letto e degli armadi,
l'installazione di un pianoforte a muro nell'interrato, un'invasione
di falene, la filiazione di tre cucciolate di gattini a distanza di
quattro giorni l'una dall'altra con conseguente aumento di numero di
felini casalinghi da sette a quindici, svuotamento del frigorifero
-culminato con l'eliminazione fisica del leggendario Fruttolo,
presente su un ripiano da tempi immemori-, e la preparazione di un
esame di letteratura inglese.
A tutto ciò
supervisionava, presentandosi sulla scena secondo un ciclo regolare,
l'occhio critico di mio padre, perennemente scontento del procedere
dei lavori.
La cerimonia del
controllo generalmente si svolgeva in questo modo: il capofamiglia
arrivava in ciabatte, senza annunciare la sua discesa nell'interrato.
Muto e silenzioso si fermava sull'ultimo gradino della scala, quasi
rifiutandosi sdegnosamente di mettere piede nel teatro dello sfacelo,
e lanciava una prima occhiata panoramica sulla situazione, con
espressione corrucciata.
Osservato il cantiere,
scendeva pesantemente l'ultimo gradino.
Passeggiava poi a zig
zag, procedendo a esaminare il progresso dei lavori, rimanendo
regolarmente insoddisfatto. Inciampava
su oggetti vaganti evasi dai rispettivi muceti e, imprecando contro
l'inutilità degli oggetti presenti in casa, contro i regali di
natale, di compleanno e di nozze, contro il consumismo, contro la
società e infine contro l'umanità intera (mio padre è un uomo di
ampie vedute), ci lasciava ai nostri lavori, riportando la regale
presenza alla luce del sole.
Il motivo della
scontentezza paterna è presto giustificabile considerando il sistema
di riordino adottato nella missione. Mia madre, come del resto
anch'io, è afflitta da un sindrome credo comune alla maggioranza
delle DD (Donne Disorganizzate): non è capace di concentrarsi su una
singola operazione, portarla a termine e poi cominciarne una nuova.
Lei inizia tutto assieme.
Ora, se fosse dotata di
una seria metodicità, ciò sarebbe ammirevole: un passettino, anche
se piccolo, per volta e tutto migliorerebbe. Purtroppo, com'è
immaginabile, ciò che manca e la cui lacuna non può essere colmata
dalla buona volontà, è proprio il suddetto metodo.
A onor del vero, un
metodo di fondo c'è, ed è il cosiddetto “Metodo Cassetti”, che
consiste nel cominciare le operazioni di riordino svuotando tutti i
cassetti della stanza da rassettare e radunandone i contenuti in un
enorme mucchio, per poi riporlo nei medesimi tiretti in posizioni
differenti. Tutto ciò era già avvenuto, anzi, diciamo che era stato
propedeutico all'operazione di riordino vero e proprio. Propedeutico
nel senso che era stato fondamentale alla creazione della situazione
di disordine maximo, senza la quale, naturalmente, il riordino non
sarebbe mai avvenuto.
È quindi per questa sua
particolare dote che,
mentre l'attacco all'astenosfera continuava, mia mamma si mise a
tinteggiare. Passarono tra le sue grinfie, nell'ordine: i vecchi
scaffali Ikea rimpiazzati dalle Billy, alcune scatole di conchiglie,
diversi muri, se stessa e qualche gatto. Il giorno in cui la trovai
nella stanza in cui studiavo armata di rullo e vernice bianca mi
domandai se tutto ciò avrebbe mai avuto una fine.
Mentre il rullo passava
senza pensieri, piovevano gocce indelebili su tutto ciò che si
addossava alle pareti e che, per mancanza di spazio a causa dei
muceti che nel frattempo erano diventati mucioni, non poteva essere
posto a distanza di sicurezza.
Questo non era l'unico
inconveniente dovuto alla riorganizzazione dell'assetto casalingo che
minava alla mia preparazione per l'esame anglofono.
Infatti ognuno sa quanto
sia facile studiare mentre gli aspirapolvere marciano inneggiando
alla pulizia. Molti conoscono la frustrazione che opprime quando,
ricercando la concentrazione, echeggiano nella casa o nel quartiere
note di svariati strumenti musicali che impediscono di dare senso
alle parole lette o alle frasi ripetute. Pochi, credo, sanno cosa
vuol dire avere un padre violoncellista che ha deciso di studiare
scale e arpeggi per una porzione di futuro prossimo sconosciuta e un
fratello armato di chitarra elettrica alla scoperta della polifonia.
Immaginate: il silenzio.
Nel seminterrato, nulla si muove oltre a qualche muceto intento nel
suo lento strisciare verso i suoi compagni.
Il libro di letteratura
si apre con un fruscio. Inizia lo studio.
Dopo qualche minuto, una
nota elettrica echeggia nell'aria in tutta la sua potenza: il noto
ritornello di “California” dei Phantom Planet inizia a
diffondersi, per poi concludersi e ricominciare per un periodo di
tempo non definibile.
La frase “Thomas
Wyatt (1503 – 1542) fu il primo poeta inglese che importò in
Inghilterra la lirica italiana e latina.”1
perde il suo significato sotto i miei occhi, mentre sento che,
sovrapposta al ritornello diabolico, si snoda nell'aria
un'improvvisazione di chiara impronta blues, e non solo, un
martellante ritmo di batteria si inserisce a sostenere il tutto.
Prima ancora di riuscire a formulare la domanda “il fratello è
uno, gli strumenti sono tre, com'è possibile tutto ciò?” mi
fulmina il ricordo di un regalo di natale di qualche anno fa: un
temibile pedale loop, capace di ripetere all'infinito un motivo
registrato dall'utilizzatore.
Mi arrendo e, chiudendo
il libro, mi ritrovo intenta a canticchiare un: “nana...
Californiaaa...”.
Era ormai agosto
inoltrato: le giornate procedevano regolari, le ore si susseguivano
in una lotta senza interruzioni, le forze andavano sciogliendosi al
calore impietoso del sole, il deumidificatore era allo stremo. Le
falene e i gatti non accennavano a diminuire. La mesosfera,
nonostante i nostri sforzi, non accennava ad apparire.
Fu necessario un secondo
viaggio all'Ikea: una parete di scatoloni svedesi pieghevoli si
materializzò nel mezzo della stanza, andando a costituire un muro
che separava i territori conquistati e ormai dominio dell'ordine dal
caos.
L'interrato est, abitato
dai miei fratelli, languiva nel degrado, vantando tra i suoi
possedimenti l'incubo della Signora Maria, il Bronx dell'abitazione,
il luogo in cui nessun essere di sesso femminile osava addentrarsi:
la stanza dell'XBox, la quale conteneva, oltre alla citata box, anche
molte altre box, il cui contenuto si perdeva nei meandri dell'oblio,
ma che ci sentivamo legittimati a dedurre essere i polverosi giochi
della nostra infanzia. Tra questi: le Barbie (a cui erano stati fatti
i fanghi, tatuaggi osceni e diverse operazione di amputazione di arti
e/o scatola cranica dalla fluente chioma), le macchinine (sottoposte
più volte a controlli meccanici di dubbio beneficio), i mitici
dinosauri (testimoni inconfutabili di un trascorso felice
dell'ex-infante).
L'interrato ovest lottava
senza tregua contro i moti di ribellione del disordine sconfitto, il
quale andava riproponendosi e ripresentandosi insistentemente.
Soldati instancabili nonché spie infiltrate al suo servizio, i miei
fratelli. Con continui e subdoli attentati minavano alla nostra
pazienza, stimolavano il caos a riprendere i suoi possedimenti.
Cercando di minimizzare, noi paladine del mocio vileda denominammo la
situazione il “Problema Calzini”, con chiaro riferimento alle
tracce di calze randage che venivano rinvenute nei luoghi del loro
passaggio.
Ora, dacché tutto ciò è
iniziato a Luglio e ora siamo a Novembre inoltrato, ci si
aspetterebbe che ormai la casa fosse in ordine lindo e perfetto,
organizzata secondo rigidi schemi imposti dall'alto e reintegrata
dalla presenza della Signora Maria.
Purtroppo, dopo il breve
progresso ottenuto alla fine di agosto, l'assenza trigiornaliera
della condottiera madre causa micro vacanza causa mezzo esaurimento
nervoso causa eccessiva dedizione alla causa, fu letale: il
miglioramento ottenuto franò miseramente. L'astenosfera si rafforzò
fino a ricreare la temuta litosfera. La babele di scatoloni sfondati
e peli di gatto era rinata.
A puro titolo
informativo, per concludere, la signora delle pulizie non fece mai
ritorno. Leggende narrano essersi sposata con un miliardario titolare
di un'impresa di pulizie di fama internazionale, o essere chiusa in
un manicomio, intenta quotidianamente in un balbettio spasmodico e
perpetuo.
Forse, prospettiva
inverosimile ma augurabile, è anche tornata.
Il disordine, tuttavia,
ci impedisce di avvistarla.
1 Bertinetti, P. (2000) (a cura di) “Storia
della Letteratura Inglese” Einaudi, Torino
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