sabato 28 febbraio 2009

Breve Cronaca Di Una Notte In Cui E' Finito Tutto



Mamma, se correvo, giravo, curvavo, velocità folle, vedevo gli altri rimasti indietro, impazziti, più ubriachi di me.
Quella roba che abbiamo provato era veramente fantastica, non mi sono mai sentito così, tutto sta dietro di me, mi prendo gioco di quegli altri che non riuscivano a starmi dietro, alla faccia scemi, io vi batto tutti.
Curvo, giro, impenno, vorrei saltare, se solo sapessi come diavolo si fa, se Dio me la mandava buona imparavo pure quello, mi bastava un altra minuzia di quella roba fenomenale e saltavo come un canguro sulla luna, cazzo, lo giuro.
Curvo ancora, giro come una trottola, vedo tutto che ruota, che figata assurda, e tutta quella luce... Ci punto addosso, giro dall'altra parte, semino gli altri, lucciola vieni, vieni luce, che bellaa...
Poi riparto, sfoggio la mia velocià, ruoto e curvo, poi rettilineo sparato! Mangiate il pulviscolo, scemi, non mi raggiungerete mai!
E nel momento in cui sono girato a gridarglielo, BANG, l'urto.
Cado a terra, rotolo, oh madonna, che succede, non sento più le zampe, Dio, mi sento in agonia, supino, le ali piegate, spezzate, agito le zampe senza volerlo, scariche di nervi che mi girano e percuotono, tutto che diventa nero, mamma, madonna, dove sono, cos'è, aiuto!, quell'ombra che mi viene addoso, aiuto!, che....
PHAF.
"Oh, finalmente a go copada... Mosca del cavolo!"

mercoledì 25 febbraio 2009

Tua Schiava




Tu mi catturi, sempre.
Mi prendi, e assieme a te volo in mondi meravigliosi, mentre tu mi guidi ritmicamente, cadenzato e senza pause, mio instancabile compagno di lunghe ore.
Quando mi sei vicino, in quella stanza, io libero la mia anima, la mia voce segreta, il mio sospiro, e canto, libera e felice, o piango e gemo -o solo mi esercito-, e tu, mio collega, mio amico, mio amante, non mi lasci, ma mi controlli, e mi tieni nel tuo ritmo -agitato o placido, dipende.

A volte penso di amarti, quando assieme percorriamo quelle lunghe strade a buchetti, affrontando qualche curva armonica o salti spropositati, quando ci completiamo a vicenda mescolando le nostre voci, perfettamente sincronizzati, quando non ci rincorriamo, ma camminiamo passo passo, vicini.
E allora mi diverte carezzarti ed eccitarti, facendoti aumentare il battito a mille, o rilassarti, con un solo gesto, e rallentare i tuoi respiri.
Ma a volte ti odio -quando sento che non mi aspetti, quando non arrivi, quando mi imprigioni, quando ti fai desiderare ad ogni passo, quando sei distante e freddo, distaccato e lontano da quello che cerco di esprimere, quando non t'importa di me e percorri marziale la tua strada, retta e senza espressione, senza curarti di chi ti segue, io, obbligata a marciare in un tempo non mio-, e per questo ti picchierei, e ti prenderei a pugni selvaggiamente per spegnerti eternamente.

Forse solamente scherzi, quando sembra che mi scappi, quando ti devo rincorrere o attendere, bloccandomi in punta di dita, pronta a muovere un altro passo, ma senza il coraggio di spostarmi senza il sostegno del tuo ritmo salvifico.
Forse non lo vuoi, amico, ma così mi spesso fai dannare.
Forse non lo sai, mio tesoro, ma così ti fai anche amare.

Con una nuova batteria per accendere la tua voce

tua,
musicista

Da: "Lettere al mio metronomo"

martedì 17 febbraio 2009

Far le vasche a Lanzano




Camminiamo in piazza a Lanzano, io e mia mamma.
Guardiamo intorno, le vetrine, la gente che passa.
Ascoltiamo: rumore di gente, rumore di tacchi per i porticati, tic tic, tac tac, tic tac, tic tac, toc, bonk.
Tra gli zampettanti ticchettii ecco la caduta.
E noi, da dietro, si sogghigna, perchè quella là che ci camminava davanti, con quei tacchi un po' così, e quella borsa un po' così, e quell'atteggiamento un po' troppo così, ci stava emeritamente sulle scatole.
Presenta gli elementi tipici della signorina che si vuol far notare e per farlo, si fa le vasche -avanti e indietro per i portici della piazza, avanti e indietro, avanti e indietro, passo di marcia e tacco ai piedi-.
Ammirevole la buona voglia e il passo, se su quei tacchi ci sapesse camminare, ma barcolla, traballa, piega i piedi in dentro, incrocia le gambe, sembra sul punto di cadere e... Oplà, invece è ancora su in piedi, fa tre passi e ricomincia il dondolio!
Pensa, lei, che i ragazzi la seguano per guardarle il fondoschiena fasciato in un jeans aderente, ma quelli la seguono facendo scomesse su quanto ci mette a cadere, e se la ridono.
Mentre dondola su quelle gambe da fenicottero menomato, poi, non si sbraccia minimamente per mantenere un minimo di equilibrio, anzi, braccia strette e serrate contro il busto, guai a spostarle.
Eh ciò, sennò cade la borsetta, portata a mezzo braccio, appesa a mo' di ombrello.
Tutti i movimenti delle ore di vasche sono impediti dal suddetto oggetto, ché sennò cade e si sporca, o rischia di spostarsi dal preciso punto in cui, dopo lunghi esami davanti allo specchio, la vascatrice l'ha posizionata.
Dondolando, non si sa se in un ancheggiare voluto o per rimanere dritta, si dirige nel negozio figo di Lanzano, il "Moda te", un' esposizione costante di borse, sciarpe, scarpe e guanti delle firme più costose e in vista.
Per farci due risate, io e mia mamma entriamo al seguito della vascante.
E' il posto perfetto per tirarsi su il morale, il "Moda te": ti senti depresso e entri, fai un giro, esci e sei allegro: hai capito che c'è chi è decisamente preso peggio di te.
Già che c'eravamo, e c'erano pure gli sconti, abbiamo fatto un giretto per il negozio.
Saliamo le scale, e ci troviamo davanti due borsone di Prada, due mezzi bauli, la miseria, non due borse!
Uno rosso e uno nero.
"Ma che bei" fa mia mamma.
"Mh..." mugugno io.
"Ma proprio che bei -insiste. E chiede alla commessa di passaggio quanto costano.
"Certo, scusi un secondo che chiedo... Giannaaaaaaaaaaaaaaaaa! E ze scontai i borsoni de Prada?"
"Sìì, del 30"
Come se non avessimo sentito, la signorina si gira e ripete.
"Novecento con sconto del trenta, signora, sono grandi poi, comode anche da viaggio, si portano qua" e con un palese gesto dell'ombrello ci mostra dove vanno portate le borse.
Mia mamma strabuzza gli occhi, mi fa l'occhiolino -ma è sicura, proprio qua?- e ripete il gesto dell'ombrello.
"Sìsì, qua".
E mia mamma, con un ulteriore, elegante, gesto dell'ombrello: "Proprio qua... Comodo..."

Zaque* in Cucina





Mia mamma è appena uscita per andare a prendere della verdura dalla nonna. Fin qua tutto bene, è solo andata via di casa per una mezzoretta, cosa potrà mai succedere in trenta miseri minuti.
Eh, può andare a fuoco la casa, ecco cosa, dato che, uscendo, mi ha chiesto di "mettar su i sucatei" vale a dire mettere le zucchine a bollire.
"Xe fasie, te prendi na tecia, te a riempi d'acqua, te taji i do tocheti de sucatei. Quando che l'acqua a boje te meti dentro un cuciaro de sae, e po te meti i sucatei.*"
Va bene, dico io.
Appena lei e la macchina escono dal cancello, però, iniziano i problemi.

Innanzitutto, quale pentola?
Beeeella domanda.
Apro il cassettone sotto i fornelli, guardo un po', e alla fine la pignatta giusta la trovo, sì. Piccolo particolare, è in lavandino.
Piena d'acqua, bicchieri e cucchiaini.
Usata ieri sera per la pasta.
Il preparare le zucchine si auspica arduo, questo è il primo segnale che non sarà una passeggiata, ma non mi arrendo: prendo una spugnetta, svuoto dall'acqua, dai bicchieri e dai cucchiaini, inizio a strofinare.
Dubbio due: Ma il sapone lo metto?
Beh, devo metterci l'acqua par bojar i sucatei, non penso serva una specie di specchio lucido e brillante, quindi niente sapone.
Metto l'acqua (ormai la dose l'ho imparata da altri tentativi fatti per cucinare la pasta), piazzo il tegame sul fornello, accendo il fuoco.
E il primo step è fatto, finchè non bolle non c'è nient'altro di cui preoccuparsi.

Adesso, le zucchine.
Prendo il tagliere, prendo il coltello, prendo il sacchetto della verdura.
Inizio l'opera di tagliamento.
Passo le verdure sotto l'acqua, piazzo sul tagliere e... Dubbio numero tre!
Quanto devo tagliare da un lato e dall'altro?
Mi affido all'istinto affamato: tagliamo via il meno possibile così si mangia di più.
Toc, pausa, toc, pausa, toc, pausa, toc, pausa.
Il coltello che sbatte sul tagliere, che, con il suo suono dolce e rilassante, rischia ogni volta di portarmi via mezza falange.

Taglio, taglio, taglio... Il sacchetto sembra non finire mai, e il dubbio numero quattro mi assale: ma se non dovesse finire? Se non dovessi tagliarle e metterle in pentola tutte?
Eh.
Inizio a chiedere.
"Andreee, quante zucchine devo mettere in pentola?"
Non mi sente, le cuffie stanno sparando musica a tutto volume, lui è concentrato sul suo computer. Msn, sms, mms, come al solito.
Cambiamo.
"Papààà, quante zucchine metto in pentola?"
"... Boh, quante ce ne stanno... 10, 15... Non so!"
Bon, vada per le 15 zucchine.
Torno in cucina, conto i tagliati e sono proprio 15. E' un segno del destino, è proprio il numero giusto.

L'acqua inizia a borbottare.
Bene, il cucchiaio di sale.
Tranquilla e contenta, entro in dispensa, apro l'anta e... Mi trovo davanti a DUE barattoli di sale che mi osservano dallo scaffale.
Il sale grosso e il sale fino.
E mi cade addosso il dubbio numero cinque, dilemma per eccellenza di tutti i cuochi novelli, porca miseria! Quando l'acqua bolle, che sale ci butto dentro?
Forse il sale grosso, quello fino lo usano per il pane... Ma la mamma sopra la focaccia ci mette quello grosso!
Quindi vada per quello fino.
Ma qualcosa mi trattiene.
Un istinto primordiale, una forza misteriosa fa deviare la mia mano verso il barattolo del sale grosso.
Acolto l'istinto, prendo quest'altro, un cucchiaio, riempio a metà (dubbio numero sei: cucchiaio raso o abbondante? Ma qua chiudo gli occhi, quello che pesco, pesco e butto dentro senza stare a pensarci troppo), svuoto nell'acqua.
Nessuna reazione preoccupante.

Intanto decido che è ora di sfruttare al meglio la promozione dei messaggi gratis.
Allungo la mano, prendo il cellulare e scrivo alla mamma.
"sale grosso o fino? Quante zucchine?"
Invio e aspetto.
Nessuno risponde.
E' vero, la mamma spenderebbe per scrivermi, scriviamo al fratellino che è con lei, che ha la stessa promozione di messaggi e può rispndere.
"Chiedi alla mamma quante zucchine devo tagliare, quanto devo tagliare da ogni parte e che sale devo buttare dentro"
Invio, attendo.
Subito la risposta: "grosso, taglia un po', 15-12"
Criptato, come sempre. Ma il significato è quello, quello tanto aspettato! Sale grosso nell'acqua, taglia un po' e un po', e fanne 15 o 12!

Sollevata, inizio a mettere dentro le zucchine con slancio.
Un po' troppo sLANCIO, tanto che una solleva una specie di tsunami dalla pentola che arriva anche alla mia pancia, facendomi balzare indietro.
Ok, regoliamo l'entusiasmo, inizio a metterle dolcemente in ammollo.
Andate, cuocetevi, bollitevi.

Ora sono in cucina, un orecchio ad ascoltare ii rumori provenienti dalla pentola maledetta.
Borbotta in maniera inquietante.
Lascio qua e vado a dare un'occhiata. In caso di risvolti straordinari, farò sapere.

"E' facile, prendi una pentola, la riempi d'acqua, tagli i due pezzetti dalle zucchine [l'inizio e la fine...]. Quando l'acqua bolle metti dentro un cucchiaio di sale, poi metti le zucchine."