domenica 27 novembre 2011

Breve dialogo

Popi, qual è la domanda che ti fanno più spesso?

Come sto.

E la domanda che vorresti che ti facessero, più spesso?

Se sono felice.

Popi, sei felice?

Si. E tu?

Penso di sì.


sabato 26 novembre 2011

Preludes




Suona, suona, suona, e nel suono si sciolgono le stonature della giornata, e così ogni giorno e così sia.
Ogni sera, nel conforto della solitudine, libera dalla confusione, si avvicina alla tastiera e ritrova nel pentagramma le emozioni della giovinezza, le speranze della vita che le si spiegava davanti, le passioni e via dicendo. Le riassapora brevemente, tutte assieme, poi -le dita non più allenate come un tempo- si alza dal seggiolino e si dirige verso la camera da letto.

Ritrova ogni sera anche un fumatore, nel cortile. Ne scorge la presenza dalla finestra vicina al pianoforte -una finestra dal disegno un po' inglese-, ormai da anni. Non sa se è un uomo o una donna: tra i palazzoni non c'è luce, e tutto ciò che vede è un'ombra quasi immobile vicino al portone e il minuscolo tizzone della sigaretta, ma è sicura che lui o lei sia lì ad ascoltarla, e che siano legati strettamente da un silenzioso appuntamento giornaliero, capitato la prima volta per caso, in un passato quasi remoto.
Lei suona, e scarica la tristezza, cumulo di un lungo giorno, e quando finisce getta uno sguardo dalla finestra: la sigaretta, giù, brilla ancora solo un attimo. Lei sorride, e spegne la luce. Buio; la giornata è finita.

Appartamento numero diciassette, quarto piano di un vecchio palazzone grigiastro.
Molti libri, disordine casalingo, carte e lettere non aperte sparse su un brutto tavolino in entrata. Nel salotto, un vecchio pianoforte ben accordato e posto vicino a una finestra con vista sul cortile.
Sera di settembre, di ore a tempo alterno. Sera di nuvole.
Torna a casa trascinando i piedi stanchi e il corpo sprofondato in una triste spossatezza. Quarto piano, chiave nella toppa, cigolio di cardine e borsa sul divano. Cena, sola, sola, sola.
Sparecchia, poi va al pianoforte, spinta dal miraggio di un sollievo musicale e di una compagnia lontana, una scintilla fredda e minuta le brucia pancia e petto per un secondo.
Preludi di Chopin, opera ventotto. Libro logoro e consunto, pagine incartapecorite che si staccano. Butta uno sguardo dalla finestra, ancora nessuno.
Attacca il quarto.
Quanto poco reagiscono i tasti al suo tocco, ora. Quanto poco hanno sempre reagito, in fondo, quanto troppo si è illusa di poter risvegliare dalla pancia della balena un canto nuovo e melodioso. Quanta fatica, quanta stanchezza del mondo.
Lo pensa mentre si svuota l'anima, riversando l'amarezza sulla tastiera. Senza volerlo, sbircia oltre il vetro per scorgere qualcuno, ma il buio non lascia posto al fuoco di un fiammifero o a cenere di carta e tabacco. Un dito cede, e il preludio si interrompe malamente a metà.
Gira le pagine, con un po' di stizza. Preludio venti.


Tre righe soltanto, così breve, così intenso. Non ci sono ricordi, in questo brano, solo il presente e la sua traccia che lentamente si spegne, misera. E' finito, e ancora non c'è nessuno. Inizia, subdola, l'angoscia, e sveglia il senso di abbandono che tante volte ha messo a tacere; entrambi si sommano alla solitudine di una misantropia leggera, alla frustrazione e alla rabbia, e tutto diventa tristezza, tutto si scioglie in un'unica parola: tristezza; cappa pesante umida e scusa che le piega la testa e le spalle sotto il suo peso.


Attacca l'ultimo preludio, il ventidue, con forza e disperazione tempestose: dopo poche battute le mani vanno già da sole, senza bisogno di note scritte, trascinate dalla foga e guidate dall'abitudine.
Il preludio finisce. Il buio sale dal cortile.

Chiude il libro, chiude il coperchio della tastiera, apre la finestra, non spegne la luce.
Tocca il pianoforte mentre sale sul balcone, poi guarda il nero dove il fumo stanotte non c'è.
"Aspettami" pensa.
Poi è solo vento freddo, e buio ancora.

domenica 6 novembre 2011

foglie e marciapiede




Pioggia di novembre. Cammino; borsa, ombrello, e piove. Non piove che dio la manda, non pioviggina: pioggia grigia che piove, piove e basta, ostinatamente. È veramente novembre. Credo mi piaccia abbastanza, nonostante preferisca ottobre. Che vuoi farci, ci sono nata, in ottobre. Le foglie diventano arancioni, in ottobre, e non piove in modo così triste. Pioggia di novembre...

Le parole girano in tondo nella mia testa come nel discorso di un vecchio, mentre cammino.
Il marciapiede è coperto di foglie bagnate, una schifezza. Ti abitui a camminare a Venezia, e tra ponti e acqua alta pensi di non aver più paura di niente, poi ti trovi su un marciapiede coperto di foglie bagnate e là son cazzi. Mi sento ridicola mentre cammino cercando parti di cemento scoperte dove posare i piedi per evitare di finire col culo per terra. Sai che figura, poi.
Tiro la sciarpa e la aggiusto attorno alla gola. È una bella sciarpa, rosso granata, che non usavo da tanto tempo. Era finita in chissà che armadio, erano quattro anni che pensavo di averla persa.

Mi piace camminare quando piove così. Se ho l'ombrello, ovvio, e una sciarpa attorno al collo. Vado con calma; a zig zag, ma con calma.
Mucchietto di foglie. Radici dell'albero che rompono il marciapiede. Beethoven, nona Sinfonia, terzo movimento. Goccia sulla guancia, lacrima sulla guancia.
Ho i brividi, ma non credo sia il freddo.

musica, musica, musica




Popi?

Dimmi Pomi.

Ti piace Tchaikovsky?

Molto.

E Brahms?

Anche.

E Beethoven?

Anche lui.





Ti piace la musica classica?

Sì.

Anche a me.





Ok, e quindi?

No, niente.

… Pomi.

No, è che ieri stavo camminando, e avevo su le cuffie. Stavo ascoltando il concerto per violino, il primo tempo. Quello di Tchaikovsky. Sparato a bomba

Ti ho detto un milione di volte di non tapparti le orecchie in quel modo mentre cammini per strada, Pomi, mi fai incazzare!

Ma ascoltami! Sentivo questo concerto, ed è bellissimo, vero Popi? E mi sentivo... straziato, straziato dentro fino all'ultima fibra! Era talmente esaltante che volevo cantare, saltare, avrei voluto mettermi a correre in mezzo alla strada

pessima idea

si, infatti non l'ho fatto. Comunque, non potendo mettermi a correre e neanche a cantare a squarciagola -quando riattacca tutta l'orchestra, e le trombe!! In quel punto ogni volta mi sento esplodere di non so cosa, non è solo gioia, è qualcosa di più, mi viene da piangere tutte tutte tutte le volte, e riderei gridando, non avrei la voce per esprimere una cosa così... così... cos' inesprimibile!-, potevo fischiettare, no? O borbottare qualcosa.

Saresti sembrato pazzo, ma sì, suppongo che avresti potuto farlo...

E l'avrei fatto! Ma come facevo? È... è... è un'orchestra intera, Popi! È talmente... talmente grande, tutto talmente pieno e immenso, divampante e profondo, e sfuggente allo stesso tempo!

Pomi, è un'orchestra, sono tanti strumenti messi assieme

appunto!

ne devi scegliere uno e segui quello!


...

Musica classica bastarda.



Popi, ti dico che mi ruba, mi porta via! Mi strappa da me, e io vorrei seguirla completamente, vorrei diventare la musica stessa, ma non riesco, non posso! Resto spezzato tra il me che cammina e mi tiene a terra di peso e una corrente di musica travolgente che cerca di sollevarmi e portarmi con sé! Quando le ascolto, queste cose... Quando le ascolto non vedo la gente, per strada! Il pezzo mi risucchia e ciao, chi si è visto si è visto, finché non succede qualcosa davanti a me, o finché non finisce la musica non ritorno!
E in quei momenti mi sento straziato dentro: tutto che tira, attratto dalla melodia, ma niente che può arrivare a niente, o esprimersi davvero, è uno strazio Popi, uno strazio bellissimo, ma fa impazzire, io



Popi, come spiegare...

Pomi, penso sia meglio se direttamente non spieghi e piuttosto mi scarichi la lavastoviglie, che ne dici?

A volte penso di odiarti, sai Popi.