martedì 22 gennaio 2013

Strappi - ci risiamo


Questo qua è un post che avevo già scritto, ma dato che me lo ritrovo sempre -ahimé- attuale, lo ripiazzo qua. E non so come si fa a condividerlo, quindi ci faccio un post-clone!
Eh son narcisa, lo so.



Credo sia un po' come con un paio di pantaloni, sai Popi?

Mh? [solleva la testa dal giornale appoggiato al tavolo, nel quale era immerso nella lettura di un articolo sull'estinzione delle formiche a causa dell'effetto serra]

un paio di pantaloni. Hai presente quando si strappano sul cavallo?

Si, ho presente Pomi [si puntella sul gomito, pur senza chiudere il giornale, e assume un'aria vagamente interessata]

eh. Penso sia un po' quella cosa lì. O comunque, tutta una faccenda di rattoppi.

Di cosa stai parlando, Pomi?

[imperturbabile, continua] fai il primo strappo, e ricucire tutto non è un problema. Tanto più se è piccolo. Che poi è difficile che si faccia uno strappo grande dal nulla, no? Strap! O era un materiale di merda, diciamolo, o si vedeva che si aveva iniziato a strapparsi. E allora dagli che ricuci. Può essere una sfida, può impegnarti, ma non è impossibile. E insomma, non dovrebbe essere così complicato riparare uno strappo, no?

Pomi, ti ho riparato dodici paia di jeans strappati sul cavallo, e dopo un mese ciascuno hai dovuto buttare tutto perché gli strappi continuavano a riaprirsi.

Il problema è dopo, dopo lo strappone riparato. Non lo cancelli. Resta lì, bastardo. E tira per riaprirsi. È così difficile trovare bravi sarti, al giorno d'oggi

Grazie, sai

e allora se si riapre? Altro filo altra corsa, via un rattoppo sul rattoppo. E sembra comunque che non ci sia, se è fatto bene. C'è, ma non si vede. E chi se ne frega se l'essenziale è invisibile agli occhi. Questo non è essenziale. È invisibile comunque, ma non essenziale. E se si aprono altri strappi? Se [tono tragico] consumi [ritorno al tono concitato ma normale] la cosa fino a lacerarla il più parti, frammentarla?

Pomi, io continuo a non seguirti, sai

Avanti, avanti, rattoppi su strappi nuovi, rattoppi su rattoppi. Il tutto per non buttare via niente. Ecco! Posso dire che resisto perché non sono consumista! Promuovere una nuova dottrina di comportamento basata sull'ecologismo sentimentale, bella roba, no? Non butto via niente, ma cerco di arginare e riparare per evitare sprechi di relazioni! Comunque, non c'è problema, secondo me.

Splendido

Non c'è problema finché non finisce il filo che usi per riparare.

[Popi, che aveva riabbassato la testa sul giornale, sospira e ha un piccolo cedimento a livello dell'articolazione del gomito sinistro]

Allora là son cazzi. O ne trovi uno nuovo, ma non avrà mai la stessa identica tonalità di quello precedente -è sempre così, quando devi ricucire: hai quei venti centimetri scarsi di filo dello stesso identico colore dell'altra stoffa, ovviamente lo finisci a metà lavoro e non c'è merceria in cui riesci a reperire un nuovo rocchetto di quella tonalità- e allora il rattoppo si vede. O pensi a trovare una soluzione con il passare del tempo. E intanto lo strappo si allarga. Pensi che andrai a cercare il filo domani, e intanto i punti che avevi cucito saltano. Poi domani c'è la nonna che sta male. Il cane ha vomitato sul tappeto e il gatto sul tavolo. La pentola di uova bruciate da pulire. E ciao filo. Dopo un mese ritrovi il lavoro lasciato a metà e lo butti via. Che angoscia. [si siede con uno sbuffo sulla prima sedia] Escludendo la possibilità di avere a disposizione un ottimo sarto, posso dire di essere rassegnato a questa conclusione. A meno che non disponga di un rocchetto di filo rosso infinito. Ma non c'è niente di infinito! Esiste forse qualcosa di infinito, Popi?

La mia pazienza.

È poco funzionale alla questione. Che poi, se avessi un rocchetto infinito, finirei per trovarmi a costruire un qualcosa tutto di filo. E sarebbe filo mio, Pomi, capisci? Non saprebbe più qualcosa fatto assieme. Sarebbe solo mio! Riparazioni su riparazioni, strenui tentativi di non buttare via nulla.

Pomi, prendi un cioccolatino.

No, grazie Popi. Ho lo stomaco chiuso. [si alza ed esce dalla cucina]

o cucito? [urlando, senza rialzare la testa dal giornale]

[la replica di Pomi non è riportabile per questioni di registro linguistico non appropriato]

mercoledì 16 gennaio 2013

Ti amo, ma non a te.

Questo racconto è privo di riferimenti a cose, luoghi, persone eccetera eccetera, come tutti i miei racconti. 
Parlo piuttosto di cose miei, personali, e scusate il narcisismo. 



Margherita lo sa, lo sa da tanto, che negli appunti di Stefano non deve mettere il naso. Lo sa, ma lo fa lo stesso. La curiosità, dicono, è donna, e così è Margherita: donna, anche se da poco. Donna, e lo è diventata anche grazie a lui, grazie al suo Stefano. Stefano di qua, Stefano di là. Neanche Michelangelo, il fratello maggiore di Margherita, ne può più sentir parlare: Stefano è dappertutto. Ormai è un Margherita e Stefano perpetuo. E lei non riesce a lasciarlo un attimo che si sente già sola e lo chiama. “Amore mio”.

Ragazza bella, con gli occhi tristi, non cercare quello che non vuoi sapere, non guardare dove non vuoi vedere. Ragazza bella, con gli occhi tristi, non lo fare.

Un'agenda è aperta tra le sue mani; le parole le scivolano veloci sotto gli occhi, come l'inchiostro ha strisciato sulla carta, allora, -cos'è, quanti anni fa?-: Margherita sa bene cosa vuole trovare, così com'è certa che non ci sarà -non può essere-. La costringe a farlo una forma di masochismo psicotico, la obbliga a una ricerca di certezze nelle assenze -Margherita, non lo capisci che dipendi da tutto fuorché da te!-. Sa che non ci sarà, lo s... 

Ed è solo la seconda pagina: il freddo le invade la testa e cade nei polmoni, le invade il cuore, le congela lo stomaco. Solo una frase, primo pugno. Rialzati, Margherita; rialzati, non è niente. Lecca le ferite, veloce, e continua. Non fermarti. Cerca, scava, scandaglia i fondali delle tue paure. Ferisciti, colpisciti, fatti del male, devi sanguinare, Margherita!, e poi rialzati, più forte di prima. Scardina la paura, il sospetto, il dubbio.
Distruggili, come loro distruggono te.

I fogli girano, veloci: le frasi saltano: non c'è il soggetto che cerca, il verbo che vuole. Via, via, velocemente, senza perdere tempo. Avrai il momento per dolerti quando avrai trovato ciò che, lo sai, dai, non può esserci. Margherita indugia su un avverbio, si lascia incantare da un aggettivo, da un pensiero, una parola. Legge, ma poi ricomincia la corsa. Abbevera il cavallo, lo lascia riposare mentre lei controlla la pistola, poi via in sella, ricomincia la fuga dalla paura che la perseguita.

Ragazza bella, con gli occhi tristi, non cercare quello che non vuoi sapere, non guardare dove non vuoi vedere. Ragazza bella, con gli occhi tristi, non lo fare.

Ventisettesima pagina.
ti amo”
non è per lei.

Margherita continua a leggere
e
ogni
lettera
è
un
graffio
al
cuore
che la lacera nel profondo
e la brucia di ghiaccio.

L'inchiostro le annerisce i pensieri: sale attraverso gli occhi a oscurarle il cuore, le membra, l'anima. Sente freddo, sente il respiro che manca, sente i frantumi delle speranze e delle certezze che credeva di avere in mano, ora esplose, che la feriscono ovunque; la pelle sanguina, ma sanguina dentro, e fuori è così liscia, come può esserlo, così li
ti amo”
ti amo”
ti amo”
Cinque lettere, tre vocali, due consonanti, uno spazio: l'eco della sua gioia, della passione inarginabile che la travolge sempre si trasforma in un ululato selvaggio che la sbriciola, la strema, la lascia senza fiato mentre annega nella tristezza che risale: eccola, ritorna, era scemata, era sparita da tempo, era sconfitta, ma ora ritorna, ritorna e la soffoca, la distrugge, la corrode, le disperde i pensieri in un soffio di vento ghiacciato.

Ragazza triste, dagli occhi belli, non lo cercare, non lo trovare. Ragazza triste, dagli occhi belli, non lo fare.

Margherita è svuotata, è di sasso. Stefano, seduto al suo fianco, legge con lei, sordo allo stridere che la tortura, cieco al freddo che la divora.
Margherita soffoca, la nausea sale. Il suo corpo non le risponde: lei pensa, ricerca le forze e la ragione: “era anni fa, era anni fa, era anni fa, è finita, ci sono io, ama me, io amo lui, è finita, pensa ad adesso, ora, ora, io e lui, io e lui, io e lui”
ma non ce la fa, e il viso non riesce a reggere una maschera di piombo. Si contrae in una smorfia senza espressione, senza sangue a colorarla. Pallida, pallida; pallida come la tristezza che la perfora da ogni lato. Pallida come la nebbia di lacrime che sente dietro agli occhi. Pallida come la sua anima, che le pare così scialba.

Margherita è impietrita; fredda, dura, prosciugata. Disanimata.
Stefano, al suo fianco, legge e ricorda.

Margherita sente il suo amore, silenzioso, scivolare fuori dalla porta.
Si volta a guardarlo.
Il blocco di ghiaccio nel suo petto ha uno spasmo.
Amore mio”.


lunedì 14 gennaio 2013

Non al denaro, non all'amore, né al cielo

Un pezzetto di matto

E sì, anche tu andresti a cercare 
le parole sicure per farti ascoltare: 
per stupire mezz'ora basta un libro di storia, 
io cercai di imparare la Treccani a memoria, 
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto, 
continuarono gli altri fino a leggermi matto. 

mercoledì 9 gennaio 2013

son cose che capitano.


Me in cucina.

Fase uno: estraendo gli ingredienti dalla credenza, il sacchetto di farina si schianta sul pavimento. L'aspirapolvere nuovo si intasa e soffoca durante la cerimonia della pulizia.

Fase due: manca il lievito. prendere macchina, uscire di casa in direzione supermercato più vicino.

Fase tre: ritorno a casa con quaranta euro di spesa costituita da lievito e sosia dell'aspirapolvere nuovo.

Fase quattro: manca lo stampo.

Fase cinque: caccia al tesoro senza bigliettini. Poco entusiasmante, ma porta a risultato. Rinvenuto in cantina pacco di stampini lidl per dolci natalizi kids, indicato per bambini di età superiore ad anni: tre. Rientro nella fascia di età e mi accingo a proseguire.

Fase sei: sacchetto dello zucchero bucato versa nella terrina quantità doppia rispetto a quella indicata dalla ricetta.

Fase sette: mescolare uova e zucchero con frusta automatica.

Fase otto: indossare grembiule perché la frusta automatica schizza.

Fase nove: aggiungere tutto il resto. anche il lievito, ma non l'aspirapolvere.

Fase dieci: la miscela si cimenta in provino per il ruolo di protagonista per un possibile remake di “Blob – il fluido che uccide” e tenta invasione del piano cottura. Pianifico resistenza e procedo.

Fase undici: aspirante alieno viene costretto in micro-stampo lidl numero uno.

Fase dodici: durante il travaso, il micro-stampo non si rivela sufficiente a contenere La Cosa. Con mano libera da terrina afferro stampo numero due.

Fase tredici: stampo numero due si presenta come teglia rotonda con cerniera, la cui detta cerniera si rivela impossibile da chiudere.

Fase quattordici: "paola, ti rendi conto che stai parlando con uno stampo per dolci?"

Fase quindici: blob lasciato momentaneamente senza sorveglianza gocciola, riuscendo parzialmente nell'invasione-piano cottura.

Fase sedici: mi accingo a versare il blob rimanente nello stampo numero due dopo aver adattato alla meglio la cerniera. Solo dopo aver iniziato a versare realizzo di non aver inserito carta da forno nello stampo. Neanche in quello precedente.

Fase diciassette: non riportabile causa registro linguistico inappropriato.

Fase diciotto: blob everywhere, anche sui miei occhiali.

Fase diciannove: richiesta di aiuto.

Fase venti: arrivano i rinforzi. Fratello di anni: quattordici, giunge in cucina armato di mocio vileda. Ha inizio la battaglia.

Fase ventuno: conta dei feriti. Mestolo preferito della mamma spezzato in due viene fatto sparire assieme al cadavere del primo aspirapolvere.

Fase ventidue: mancano le forbici. La carta da forno viene strappata a mani nude in brandelli dalle forme freudianamente interpretabili.

Fase ventitre: travaso number two. Blob appare finalmente innocuo e mi fissa. Pur sapendo essere una tattica, decido di far finta di niente.

Fase ventiquattro: inserimento nel forno.

Fase venticinque: "lievita, bastardo, lievita!"

Fase venticinque: l'impasto esegue gli ordini e deborda dallo stampo.

Fase ventisei: rassegnazione a meno venti minuti da fine cottura.

Fase ventisette: rinascita speranza a meno cinque da fine cottura.

Fase ventotto: a cottura terminata, la risorta speranza si sucida vedendo il fondo del forno imbrattato di blob sogghignante e fumante.

Fase ventinove: estraendo la teglia rotonda dal forno, la cerniera si apre.

Fase trenta: blob impara a volare in direzione: “secchio dell'umido”.

Me non più in cucina.


venerdì 4 gennaio 2013

trimoleskin

Sempre della serie "vantiamoci", altre due immagini moleskine. Queste sono dalla seconda agenda -cioè gennaio 2011. Diciamo che è per festeggiare il loro secondo compleanno!