sabato 29 ottobre 2011

Buon Viaggio


Il treno arriva in stazione, tre minuti di ritardo.
Ha quell'ombra di nervosismo che le attraversa il viso mentre, prima che le porte si aprano, aspetta in piedi nel vagone, con la borsa in spalla e la valigia a terra; deve “cambiare”, e quando deve “cambiare” l'assale sempre il terrore. Anche se ha tempo, per “cambiare”. Anche se ha, come in questo caso, nove minuti. Sei, considerando il ritardo. Un'infinità, comunque.

Valigia con dentro libri universitari svogliati, vestiti da lavare e un beauty-case ben tornito. Borsa con fotocopie e altrettanti libri altrettanto svogliati, un astuccio, agende, portafoglio, guanti, cappello, telefono, musica, cuffie bianche e abbastanza vistose. Giacca rossa, in lana cotta. Stivali.
È una bella giornata. L'autunno si è finalmente affacciato anche qui.

Le porte si aprono: scende in fretta, impacciata dalla valigia e dai tacchi degli stivali che risuonano in maniera secca e imbarazzante. Nonostante le piaccia -e molto- quel rumore di zoccoli sonoro e pieno, sa che è da considerare imbarazzante.
Per fortuna “il cambio” riesce in modo indolore. L'altoparlante chiama già il treno in partenza non appena i suoi stivali rimbombanti toccano il marciapiede del binario, così lei trotta -letteralmente, trotta; scalpiccio che scalpita di zoccoli sul cemento-, “cambia”, e sbuffa quando finalmente si siede, su quei sedili pieghevoli, blu, da corridoio, davanti alla toilette del vagone, un po' stancata dalle scale.
La guardano, in silenzio.
Lei li guarda. Un po' confusa, allunga l'orlo della giacca sulle calze -ha una gonna corta-, ravvia i capelli, copre le gambe con la borsa. Estrae e indossa le cuffie, sceglie una musica, si concentra su un'agenda.

Il treno sta per partire. Uno sbuffo di fumo entra dalle porte prima che si chiudano, seguito da un vecchio e un forte odore di vino e tabacco. La sua borsa, sportiva e logora, è poggiata a terra vicino al sedile pieghevole davanti alla toilette e sfiora la valigia di lei.
Lui si siede. Cappellino rosso con visiera, giacca a vento blu che lascia intravedere un crocifisso e un mp3 viola al collo. Ha barba e capelli lunghi, viso scavato, occhi fondi e chiari.
“sai, io ho viaggiato molto”
Partiti.

Giacca rossa sposta le cuffie all'indietro e si gira verso di lui. L'ha sentito dire qualcosa, non vuole sembrare scortese.
Il vecchio non la guarda in faccia mentre parla. Cerca di disfare il nodo inestricabile delle sue cuffiette. Unghie lunghe. Continua, ostinatamente, a cercare di sbrogliare il filo nero con una mano sola.
“sai, ho viaggiato molto, e ogni volta i treni hanno qualcosa che non va”
Lei accenna un sorrisino di circostanza, sposta di nuovo le cuffie sulle orecchie, si concentra ancora sull'agenda. Sente qualche altra traccia di parola, guarda alla sua sinistra: il vecchio cerca ancora di snodare con una mano sola, e intanto le parla.
Si arrende; sfila le cuffie e le ripone nella borsa, prende il filo nero dalla mano del vecchio, scioglie il nodo, lo rende al proprietario.

L'autunno scappa, fuori dal finestrino.
Lui le racconta la sua vita, lei ascolta. Gli altri passeggeri li guardano, ogni tanto: un uomo sorride, sprezzante; il controllore, passando, chiede se è tutto a posto; una coppia di ragazze storce il naso. Lei accenna un sorriso, scuote il capo, torna alle parole del vecchio e ai suoi viaggi in America, da ragazzo con due amici con cui dividere le spese; all'incidente che gli ha fatto perdere un braccio, alle maratone e ai self-service made in Italy, ai treni che bucano le ruote e agli spiriti della toilette. Ascolta, senza parlare; lui parla, senza guardare. Un circuito tranquillo di attenzione scorre tra i due sedili, assieme all'autunno, fuori dal finestrino.

La velocità diminuisce, stanno arrivando. Lei non deve “cambiare”; stavolta è arrivata.
Si alza, Devo scendere.
Il vecchio continua a parlare, imperturbabile. Il filo del discorso è aggrovigliato dall'alcol, i ricordi e la vista offuscati dagli anni. Quando il treno si ferma il tono di voce si abbassa lentamente. Alza gli occhi.
“grazie”
un sorriso breve, la gente spinge per scendere.

Lei scende, trascina la valigia e si ferma dietro la linea gialla, un po' in disparte.
Il treno riparte mentre si gira a guardarlo.
Buon viaggio, pensa.
Poi esce dalla stazione, borsa in spalla, i tacchi che risuonano nel silenzio della sera.