Perché perché perché perché.
Perché non ho idee politiche.
Perché non ho una personalità formata, pur avendo anche troppe forme.
Perché non so cosa siano stress, scazzo e stanchezza, anche se ne sono perennemente afflitta.
Perché ho la testa vuota, anche se dovrebbe essere continuamente piena, e ho il cuore sgonfio anche se continuo a riempirlo.
Perché mi sento vecchia, già prima di arrivare a venticinque anni.
Perché vorrei scrivere, ma le mani non collaborano.
Perché mi sembra tutto banale e già detto, e andare avanti inutile.
Perché la vita non me la sono mica scelta io, chi mi ci ha messa - a me - proprio in questo mondo?
Perché scrivo a caso, e spero che nel disordine qualche senso ci sia.
Perché quel senso di completezza armonica e universale non so cosa sia e quindi che senso ha cercare di raggiungerlo.
Perché tutto tutto tutto quello che cerco di fare alla fine ha qualche difetto - che è dato dal fatto di essere fatto da me, è un difetto di marca. Ma e gli altri?
Perché questi altri mi stressano. Ma se non ci fossero mi mancherebbero.
Perché vorrei andare un sacco avanti, per poi voler tornare indietro.
Perché gli elenchi puntati mi aiutano a creare un senso, una stabilità finta che intanto mi annulla nella banalità.
Perché crescere, che fatica, però pensavo che a un certo punto ci si abituasse.
Perché la fame non passa mai, e l'angoscia del corpo aumenta sempre.
Perché un aiuto esterno, su certe cose, alla fine serve fin là.
Perché sono sempre imperfetta - e non è vero che si è perfetti con le proprie imperfezioni.
Perché mi girano le balle, e in qualche modo devo pur sfogarmi.
venerdì 31 ottobre 2014
giovedì 3 aprile 2014
Una favola
Popi?
Dimmi Pomi.
Mi racconti una storia?
Va bene.
Bella, però.
Ve bene.
C'era una volta una
ragazza bellissima. Viveva in una casetta di campagna, da sola, dove
coltivava un piccolo orto e allevava oche bianche. Quando andava al
mercato nel paese vicino a vendere la verdura e le uova che
raccoglieva, tutti si fermavano al suo banchetto a comprare qualcosa
pur di poterla guardare da vicino: aveva un viso incantevole,
illuminato da una bocca sempre sorridente e da due grandi occhi
grigi.
Un giorno, mentre tornava
a casa dopo aver venduto tutto ciò che aveva portato con sé al
mattino, vide in un banchetto un oggetto che l'attirò molto:
sembrava un piatto, ma non era un piatto, e sembrava anche un vetro,
ma non era neanche un vetro. Chiese al venditore cosa fosse, e lui le
disse: “è uno specchio, signorina. Guardandoci dentro vedrà ciò
che lei desidera essere”.
La ragazza bellissima
decise di comprarlo, e tutta soddisfatta se lo portò a casa.
Alla sera, dopo aver
nutrito le oche e innaffiato le zucche, si mise comoda in poltrona e
prese lo specchio. Lo avvicinò al viso, pronta a vedere “ciò che
desiderava essere”... E trovò il riflesso di una faccia minuta,
arrampicata su un collo sottile ed elegante. Vide le ossa delle
clavicole leggermente in evidenza, e due spalle magre avvolte dallo
scialle che aveva indosso.
Appoggiò lo specchio e
si tastò piano le guance. Se quello che aveva appena visto era ciò
che lei desiderava essere... Dunque non poteva essere già così. Ma
com'era, allora? Sotto le sue dita il viso parve immediatamente
grassoccio e flaccido. Fece inavvertitamente cadere a terra lo
specchio, che si ruppe in mille pezzi, ma non ci fece caso. Le spalle
sembravano massicce, le ossa sepolte sotto strati di carne. Continuò
a tastarsi le braccia, i fianchi, la pancia: tutto le pareva deforme
e sovrabbondante.
Siccome era una ragazza
che non si arrendeva facilmente, decise che sarebbe diventata come
voleva essere. Ma come poteva fare?
Il giorno seguente, al
mercato, comprò un libro intitolato “Rimodellarsi”. Il primo
capitolo parlava di attività fisica, come la corsa. La ragazza
bellissima, appena tornata a casa infilò un paio di scarpe da
ginnastica e uscì a correre.
Giorno dopo giorno,
chilometro dopo chilometro, iniziò a conoscere le persone che
abitavano nelle case lungo il suo percorso. Siccome era sempre
sorridente, anche quando era stanca e sudata come un asino, le
vecchiette iniziarono a fermarla e a invitarla a prendere una tazza
di tè e una fetta di torta “per riprendersi dalla fatica”. La
ragazza era troppo buona per rifiutare le offerte, e accettava
sempre. Fetta di torta dopo fetta di torta, i suoi allenamenti
persero la loro funzione dimagrante, ma poiché la ragazza bellissima
aveva rotto lo specchio e non aveva letto il capitolo
sull'alimentazione dietetica del libro “Rimodellarsi”, non si
fermò.
E poi?
E poi un giorno la
trovarono a letto morta stecchita. Diabete. Fecero un funerale
modesto e molto triste. L'orto venne preso in gestione dal comune e
trasformato in un parco giochi, e le oche vennero impiegate in una
fabbrica di piumini: nessuno le vide più.
Popi, credo di non capire
la morale della tua storia...
Mai cercare di dimagrire,
Pomi. Mai.
sabato 22 marzo 2014
Banalità
Dimmi.
Ho ancora un problema.
Solo uno?
È uno grande.
Sentiamo.
[Pomi si accovaccia sul divano di fianco a Popi, che imperterrito continua a fare le parole crociate]
Non sono sicuro.
Iniziamo bene!
Di quello che sento, voglio dire.
Mh.
Un giorno è sì, sì, sì, voglio, lo voglio, sposiamoci e stiamo assieme per sempre. Un giorno è sì... Forse. Il giorno dopo ancora è ti prego no, lasciami. Lasciami tu perché io non ce la faccio. A ciclo continuo. Mi spossa. Lo ferisce, e non voglio.
Mh.
Cioè. Capisci, Popi! Mi sento male! È avere una gamba per barca, fa venire la nausea. Poi nel momento in cui riesco a mettere piede a terra, o su un accidenti di pontile, è come spiccare il volo. Cuoricini che volano da tutte le parti.
...Mi sembra di sbagliare tutto, e di tirare nel vortice anche lui. Non so come fare!
Sì che lo sai.
No, non lo so, non lo so!
Sì che lo sai, Pomi.
No.
Sì. Pensaci. Prima di tutto: lui. È lo stesso, per lui? È innamorato? È pazzo di te?
No! È... È tranquillo. Lui... Non ha i miei problemi. Mi vuole bene, ma con calma.
Vi volete bene, Pomi. Gli vuoi bene anche tu, e c'è qualcosa di buono, sotto. Altrimenti non avresti questi dubbi. Saresti innamorato come un coglione, certo e sicuro di te, e pronto a sbattere il naso contro la realtà una volta spenta la cotta. Perché quella sarebbe una cotta da quindicenne, Pomi. E la cotta si spegne, ed è meglio così, fidati. Si spegne, e la volta dopo che cominci a sentire qualcosa hai paura e non sei sicuro. Come adesso.
Mh.
Ciò detto - ...quindici verticale, solo e spinoso, sei lettere?
Cactus.
Bravo! Dicevo. Provate qualcosa entrambi, su questo non ci piove; e a volervi bene non fate male a nessuno. Quindi non c'è motivo per cui non dovreste stare insieme, ed essere felici l'uno dell'altro. Hai capito?
Sì.
Vai da lui, corri.
[Pomi si alza in piedi e scatta verso la porta]
Pomi!
[si ferma] Sì?
Sette orizzontale, sei lettere: si dice dopo un consiglio?
...Grazie.
Bravo. Vai!
domenica 16 marzo 2014
A volte ritornano
Popi?
Dimmi Pomi
Mi racconti una favola?
Va bene.
Bella, però. Non come
quella della volta scorsa.
D'accordo.
C'era una volta un paese
molto ordinato, dove viveva un bambino di nome Antoine. Antoine aveva
quattro anni ed era figlio di due musicisti; poiché nel paese molto
ordinato ciascuno doveva seguire ordinatamente il mestiere dei suoi
genitori, Antoine iniziò a studiare musica sotto la guida della sua
mamma, e per diversi anni non fece altro: dalla mattina alla sera
studiava diligentemente, senza mai opporsi, perché nel paese molto
ordinato era questo che si faceva. Divenne presto un bravissimo
musicista: si diplomò alla scuola per musicisti del paese ordinato e
fu pronto per iniziare la sua ordinatissima carriera.
La sera del suo debutto
nel teatro del paese molto ordinato, Antoine era pronto a stupire
tutti con il suo talento. Si sentiva pronto. Era carico di adrenalina
e anche orgoglioso di come si era preparato: portava un elegantissimo
frac e delle scarpe lucide come specchi. Nel momento in cui si
spensero le luci e salì sul palco, però, Antoine iniziò a sentire
una terribile nausea: tutto iniziò a dondolare davanti ai suoi occhi
per le vertigini, e dopo pochi secondi dovette correre dietro le
quinte a vomitare. Poi svenne.
All'ospedale del paese
molto ordinato, dove venne portato di corsa, gli diagnosticarono un
potentissimo mal di mare, causato dal fatto che le tavole con cui era
stato costruito il palcoscenico del teatro provenivano dal pontile di
una nave che ai tempi della fondazione del paese molto ordinato si
era arenata vicina alla spiaggia. Poiché nel paese molto ordinato i
musicisti potevano suonare solo nel teatro, Antoine avrebbe dovuto
trovare una soluzione, o la sua carriera sarebbe finita prima ancora
di cominciare. E nel paese molto ordinato questo era inammissibile,
poiché è noto che la fine viene dopo l'inizio, non prima.
Un giorno lo andò a
trovare Pita, una sua amica. Anche Pita era figlia di due musicisti,
e anche lei aveva studiato musica, ma con risultati meno promettenti
di Antoine.
“Pita, sono molto
preoccupato” le disse Antoine. “I dottori dicono che non c'è una
cura. Come farò a suonare?”
Pita lo osservò a lungo
grattandosi il gomito sinistro, come faceva sempre quando stava per
avere un'idea grandiosa.
“Antoine” disse Pita
“è da tanto che ci penso, ma non ho mai avuto il coraggio di dirlo
a nessuno. Pensa se fuori dal nostro paese ci fosse un altro paese, o
tanti altri paesi. Magari diversi dal nostro! Magari con un teatro in
cui il palco non è fatto con le tavole di una na...”
“Nonono, Pita, ti
prego, non dire quel nome!” la interruppe Antoine, già bianco come
un lenzuolo.
“Scusami Antoine.
Dicevo, pensa se ci fossero tanti altri teatri, oltre al nostro.
Teatri con palcoscenici fatti con tavole apposta per palcoscenici. Lì
potresti suonare e diventare un grande musicista!”
Antoine pensò che Pita
fosse davvero una grande amica, e nel giro di poco tempo
organizzarono un viaggio alla ricerca di nuovi palcoscenici.
Popi?
Sì?
Tra quanto finisce?
Tra tanto.
Ma io ho sonno.
Ti faccio un riassunto:
Antoine e Pita viaggiarono a lungo, e incontrarono davvero tanti
altri paesi: paesi disordinati, in cui ognuno faceva quello che
voleva. Paesi in cui chiunque poteva decidere di fare il lavoro che
preferiva, o di innamorarsi di chi lo faceva essere davvero felice.
Tutti questi paesi, però, erano senza teatro. Quando finalmente,
dopo lunghe settimane di viaggio, Antoine e Pita arrivarono al paese
con il teatro, Antoine non voleva più suonare. In quei giorni aveva
scoperto che ciò che realmente amava fare era il meccanico, e di
musica e ore di studio non voleva proprio più saperne. Tornò in uno
dei paesi dove era stato, e divenne apprendista meccanico. Dopo
qualche anno aprì la sua officina, sposò la figlia del
fruttivendolo ed ebbero quattro bambini, che erano sempre disordinati
e sorridenti.
E Pita?
Pita tornò al paese
molto ordinato, dove, eliminata la concorrenza di Antoine, divenne la
più brava musicista del paese.
Popi, credo che le tue
storie non mi piacciano molto.
Buonanotte Pomi.
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