giovedì 19 marzo 2009

La casa di riposo






La casa di riposo di Caripegne è in centro, vicinissima all'ospedale e al cinema, affacciata su una splendida stradina incatramata dove le auto fiumano tutto il giorno investendo piccioni.
Tecnica astuta, quella del sindaco che, anni fa, fece costruire l'edificio proprio lì: data l'ubicazione, ai vecchietti non viene neanche l'utopica visione di uscire dal cancello per paura di fare la fine dei pennuti.
Oltretutto l'entrata della casa e il cancello distano di qualcosa come duecento metri di stradina sassolinosa e impolverata, che diventa un fiume nei giorni di pioggia.
Strada a prova del più teconologico modello di sedia a rotelle o stampella, è percorsa tutti i giorni da parenti o volontari in un giubilare di bestemmie e insulti al sindaco. Tra le varie richieste di miglioramento è spuntata pure la proposta di organizzare un servizio zattere dal cancello all'ingresso, tanto per rendervi la situazione.
Il giardino è bello, molta erba, alberelli, cespuglietti, una pista per le bocce, diversi spazi dove in estate gli ospiti giocano a carte in infiniti tornei, canasta per le signore, briscola i signori, e poi una rampa sospetta, suppongo serva a fare gare con le carrozzelle, ma non ho mai visto nessuno in azione.

Percorsa la stradina, per entrare nell'edificio si devono superare due porte ad apertura automatica.
Teoricamente, quando qualcuno si mette davanti, si dovrebbero aprire.
Praticamente, quando uno si mette davanti, non si apre un bel niente, e per riuscire ad entrare si devono provare diverse posizioni acrobatiche, divincolandosi e agitandosi in tutti i modi.
Questo succede solo ai visitatori, però, i vecchietti ospiti non appena si avvicinano all'entrata hanno le porte spalancate in fronte a sè.
Perchè questo?
Il motivo risale a qualche tempo fa, quando alla casa di risposo è arrivato Tonio, l'ex elettricista, ormai un po' fuori di testa ma ancora bello sveglio.
Appena ambientato ha iniziato ad annoiarsi, e per passare le ore ha deciso di manomettere tutti gli impianti elettrici della casa, così, per divertirsi un po'.
Tempo una settimana e il salone d'ingresso sembrava un' astronave: luci impazzite che si spegnevano e accendevano in alternanza, l'altoparlante solitamente sintonizzato su RadioMaria che si spostava automaticamente su Radio Capital ogni volta che sull'altro canale si sentiva la parola "AMEN", la tombola automatica che sparava i muneri a destsra e a manca, una follia.
Ancora annoiato, però, Tonio ha avuto un'altra geniale idea: manomettere la porta automatica.
Nottetempo ha tolto qualche filo, connesso una piccola consolle e dato un importante incarico a Dolfina, la paziente con la sindorme di Down che non ha mai avuto nulla da fare, nè è mai stata badata da nessuno.
Ora vorrei ben vedere se c'è qualcuno che non la saluta.
Seduta comodamente nella poltrona vicina all'entrata, Dolfina stringe tra le mani la consolle, ridendo come una bambina e decidendo chi entra e chi sta fuori, aprendo la porta al suo comando e facendo fare ai poveri visitatori saltelli, piroette, step e quant'altro per poter entrare.

Entrati nel salone, esausti dopo una seduta di aerobica davanti alla porta, come prima cosa si saluta Dolfina, e come seconda si fulmina Tonio con un'occhiataccia, mentre lui fa finta di niente e ti sorride angelico.
Il salone non è brutto: grandi vetrate a destra, a sinistra un piccolo palco dove fanno la messa e i concerti, e sparsi per la sala tanti tavolini e poltroncine.
Ai tavoli, ovviamente, si gioca a carte e a tombola, si leggono giornali e si discute, ma non la discussioncina da vecchiette placide e tranquille, no!
Generalmente al centro della lite c'è Polanellina, ex maestra, ora novantenne e quasi cieca.
Essendo cresciuta in una famiglia di sioretti di origine nobile, è stata impeccabile per tutta la vita, mai pronunciata una parola di troppo o un insulto. Beneducata e religiosa, ha potuto frequentare tutta la scuola, arrivando a prendere il diploma, per poi decidere di prendere la strada da maestra e insegnare alle elementari per mezzo secolo.
La sua entrata nella casa di riposo rimarrà nella storia:
Tutti erano stati tirati a lucido, il salone pulito, vecchietti col vestito buono, signore con la messa in piega fatta. "A riva a maestra Benigardi!"* era il grido di battaglia delle infermiere quando dovevano mettere in ordine i recalcitranti anziani, che al nome della vecchia insegnante non osavano protestare.
Arrivato il gran giorno, tutti erano in salone ad aspettarla.
Si apre la porta, la sua sagoma si staglia nella luce.
"Ah Dio bon, vara che mestieri, che ordine! Cossa casso gavio fato?"** sono state le sue prime parole.
Da quel giorno non c'è stata pace, in salone. Polanellina partecipa a tutte le discussioni, infarcendo i discorsi con termini da scaricatore di porto imparati chissaddove.

Dopo il salone c'è un bar, la sala da pranzo e la cucina, affacciata su un corridoio stretto e lungo che ti porta all'ascensore.
Aspetti una decina di minuti (c'è un solo ascensore in tutto lo stabile) e poi sali al padiglione FG4.
Quando arrivi al piano ti trovi in un altro corridoio che ti porta dritto fino alla saletta con la televisione e una cucinotta.
Per arrivare al salottino passi davanti a una quindicina di camere disposte lungo il corrodio. Cammini, guardi a destra e sinistra.
Fuori dalle stanze c'è un cartellino con il nome della signora ospitata.
Polanellina, Dolfina, Triestina, Tatiana, Sidolina, Evaldo, Germana, Oliva,... Ufficio?
Dopo una serie di nomi di questo genere, giuro, quando si vede scritto "ufficio" si pensa subito a dei genitori un po' troppo bizzarri.

Il televisore è sempre acceso su reality o programmi spazzatura. La vita in diretta, Amici, Uomini e donne,.... Le vecchiette guardano, sembrano interessate e non scollano gli occhi un secondo dallo schermo, ma chissà cosa vedono in realtà.
Lì attorno allo schermo c'è Annantonia, piccola piccola, infagottata in una tutina e rincagnita in un seggiolone. Non si muove mai, tiene gli occhi chiusi e un biberon stretto nella mano sinistra.

A destra, la Maria con l'Alzhaimer, che parla tutto il tempo, una nenia senza fine di sproloqui. Parla in italiano, per giunta. Una vita passata a parlare dialetto e poi quando hai l'Alzhaimer scopri di essere bilingue.
Un giorno le hanno parlato di suo figlio, Carlo.
-"Carlo, e chi è Carlo?"
-"Maria, è tuo figlio. Carlo, dai!"
-"Ho un figlio? Nessuno mio aveva mai detto niente!"
La Maria senza Alzhaimer -sinistra- passa le giornate a lavorare a maglia, da sciarpe e maglioni a non finire. Colori un po' assurdi, ma i lavori che fa sono ammirabili, non le casca un punto.

Poi c'è Evaldo, uno dei due signori del piano, lontano dalla televisore si mette schiena al corridoio e sguardo al muro avanti a sè.
Lui ha freddo, sempre freddo. Un giorno ha fatto impazzire il medico che doveva visitarlo: per spogliarlo ci hanno messo cinque minuti -minuti, eh, non secondi- perchè il signore, là, aveva indosso ottto, dico OTTO, magliette di lana e canottiere, più la camicia, il pullover, la giacca, la sciarpa e il cappello. E non è scoppiato di caldo, anzi, quando poi è passata la Caterina, l'infermiera che porta la merenda, le ha chiesto se gli poteva dare un the caldo, ché sentiva freddo.
Le infermiere lo prendono in giro, perchè è il più grande bastian contrario che possa esistere sulla faccia della terra e brontola, brontola, brontola a non finire: il tempo, la cena, il letto, gli altri ospiti del piano ("i ze tuti fora de testa!"***), lo yogurt per la merenda,...
Spesso, il martedì, da lui c'è una ragazza con la giacca rossa e una borsa arancione, dev'essere sua nipote. Quando c'è lei parlano in uno strano slang di dialetto e inglese, perchè Evaldo ha vissuto in Canada e Australia tanti anni, prima di andare in casa di riposo, e se c'è qualcosa che ama fare è pontificare nel suo inglese dialettale facendosi ben sentire da tutte le infermiere che passano.

Davanti a lui c'è sempre Marialuisa, seduta sulle poltronicine vicino alla sua stanza. Dormicchia sempre, e quando è sveglia parla con il pappagallo Scrik, nella gabbietta di fianco a lei.
Antonia è l'altra contendente del pappagallo. Una signorona alta e robusta, che sta là solo perchè i nipoti non si fidavano a farla vivere da sola con una badante. Avevano paura che se la mangiasse, dicono.
Celestina cammina per il piano tutto il giorno, curva curva e con il viso truccatissimo, bianco di fard, occhi bistrati e rossetto brillantissimo. Stringe il rosario e ogni passo è una preghiera, dice lei.
Che fastidio potrebbe dare, una pia donna così devota?
Nessun fastidio, se non fosse che le preghiere le grida con la sua voce stridula, e cessa qualche minuto solo quando don Alberto va in visita il mercoledì pomeriggio.

Poi ce ne sono altri, tanti altri, chiusi lì dentro a girarsi i pollici e guardarsi Maria de Filippi.
E sì che molti di loro sono coetanei, a volte perfino più giovani, di personaggi che, per esempio, a 72 anni suonati vanno in discoteca e si circondano di ragazze ex spogliarelliste o reduci dell'Isola dei Famosi.

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