domenica 17 ottobre 2010

La Leggenda





-Avete capito?
Il silenzio. Mancano solo i grilli e la palla di paglia che rotola e sarebbe una scena da cartone animato: la classe è ammutolita.
Ha guardato per venti minuti buoni quella professoressa nel suo contorcersi in una dimostrazione articolata in mille angoli e trabocchetti, e, giurano tutti, hanno pure provato a capire.
Ma, lo giurano altrettanto, per loro quella roba là è arabo antico. Aggiungerei che è di qualche dialetto delle montagne, il dialetto. Pronuncia stretta.
La campanella suona dopo un minuto di silenzio -lutto e dovuto rispetto ai neuroni ormai fusi dei venticinque ragazzi-.
-Bene, allora dopodomani verifica. Arrivederci.- e prima che qualcuno, anche la peggior lecchina, potesse aprir bocca, scompare fuori dalla porta.
Trauma.
La classe è ridotta ad un acquario: ventidue pesci muti e immobili scrutano i vetri delle finestre pensando a quanto bene si starebbe là fuori. Un secondo dopo si sta per marciare sul piede di guerra: "quella stronza!" "non ho capito niente" crisi di panico e urletti isterici, chi digita in fretta un sms alla mamma "chiama il prof di ripetizioni, mà, che ho verifica di mate dopodomani", chi, ancora perso, fissa la lavagna, quasi sperando che il problema si sciolga, quel nodo di circonferenza si slacci e liberi la soluzione -e fatemi capire questa dannata materia, è matematica, non astronomia applicata!- e nessuno si accorge di lui.
Entra, e in un bisbiglio saluta la classe.
Posa cartella e soprabito sulla cattedra, siede, firma il registro, si guarda intorno -il caos continua-, allora batte leggermente la penna sul tavolo.
La classe tace.
"Buongiorno. Oggi manca il vostro professore, avete due ore di supplenza con me -si volta alla lavagna- Avete fatto matematica?"
Un mugolio sommesso conferma.
Lui si alza, osserva la dimostrazione scritta in gesso: mano sotto il mento, espressione assorta, gambe incrociate.
Dopo un minuto, si gira verso la classe.
"Qualcuno di voi ha capito qualcosa, di questa dimostrazione?"
Negano, rassegnati, le teste chine.
"Nemmeno io".
Alzano lo sguardo, increduli.
Un professore? Un professore di matematica che non capisce una dimostrazione? Non è possibile, anzi -rimaniamo in tema- è un risultato non accettabile, ma che storie sono!
Lui prende il cancellino e cancella ogni traccia di quei geroglifici.
Ora è tutto tranquillo, l'incubo è scomparso, i ragazzi, vedono di nuovo la pace su quella lastra nera.
Per chi vuole -dice lui- io ora la rispiego. Se non vi va di ascoltare, fate qualsiasi altra cosa, ma in silenzio.
Dal momento in cui posa il gesso sull'ardesia, la classe si incanta: sono tutti presi in una bolla di incantesimo di numeri, un tuffo in un oceano di somme, formule, equazioni ed espressioni.
Prima sembrava una fossa, quell'oceano!
Piena di scogli, mare dove naufragare senza aiuti, abissi senza luce, subisso di insufficienze.
Ed ora, mentre lui, tranquillamente, parla della circonferenza e delle rette che la intersecano, l'oceano appare meraviglioso, senza limiti, limpido e sicuro, galleggiare è così facile, e appena senti che stai per andare sotto, pahf!, un salvagente appare a sollevarti.
Lui va avanti, il gesso viaggia, disegna rette, marca punti, gratta via quella ruggine che si era attaccata al cervello dei ragazzi, gratta via il dubbio, gratta via la sfiducia, la paura di affondare nelle acque numeriche.
Conclude, la lavagna ordinatamente scarabocchiata di numeri, un disegno, un paio di formule. Dieci minuti ed è fatta.
Ecco, a me l'hanno insegnata così -dice piano- avete capito qualcosa?
Si siede, in attesa di risposte, scruta la classe.
Mentre attende reazioni, seduto sulla cattedra, elegantemente, studia la classe.
Aspettando sentenze, seduto sul bordo della cattedra -gambe accavallate e braccia incrociate- elegantemente vestito in giacca e cravatta blu -camicia azzurra-, contempla la classe, cercando negli occhi di ognuno qualche perplessità, qualche segno di vita.
E loro, quasi a bocca aperta, lo fissano.
Lo guardano stupefatti, lo osservano, cercano di vedere se ha delle ali, sotto la giacca, una coda, delle corna, vogliono capire se è umano -forse ha dei fili, è un robot?-.
Capelli sporcati dal gesso e la giacca con la manica imbiancata, frutto del troppo entusiasmo nella spiegazione, gli occhi che brillavano quando era arrivato alla fine -missione compiuta-, un accenno di sorriso soddisfatto nel vedere lo sguardo convinto anche di Rossella, la frana della matematica del liceo -rimandata ogni anno con il 4-, no, davvero: non poteva essere umano.
E poi un coro di sì, un'ondata di cenni con la testa, sorrisi, gioia di aver finalmente capito -ma allora non sono così stupido, la matematica la so fare!-.
E Il Professore -perchè ormai lo chiameranno sempre così, i ragazzi della 5H, la classe più impedita in matematica di tutto il liceo scienti-figo di Lanzé, comune vicino a Lanzano, dove la media delle materie scientifiche è 8 in ogni classe-, felice di questo successo, sposta lo sguardo tra gli alunni, poi guarda in un angolo, ultima fila a sinistra, di fianco alla finestra.
Una ragazza, stravolta, ne è rimasta incantata.
Proprio lei, che aveva rischiato di essere rimandata in quella materia ogni anno, salvandosi sempre per il rotto della cuffia, lei che odiava aritmetica, algebra e geometria alla morte, e che piangeva di rabbia su quei maledetti libri che le portavano solo delusioni, lei che prima di ogni ora di matematica aveva un groppo allo stomaco, e dopo voleva solo aprire la finestra e buttarsi giù, aveva capito.
Aveva capito, sì, le si era accesa la famosa lampadina, si era aperta la porta, aveva trovato il salvagente a cui aggrapparsi.
Quella ragazza sarebbe uscita dal liceo scientifico a pieni voti, con una seconda prova impeccabile, e si sarebbe poi iscritta alla facoltà di matematica.
Quella ragazza ero io.




[va detto, anche se con poca convinzione: questa è una storia inventata, ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale]

2 commenti:

  1. Complimenti, è davvero bellissima!!!!

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  2. E' la prima volta che entro qui e....vorrei scrivere mille cose, ma mille sarebbero troppe ed allora te ne affido solo un paio.

    1) mi piace come scrivi!
    2) quanto ti invidio, avrei voluto averlo io un professore così! Infatti sono finita in lettere moderne :) altro che matematica
    3) verrò a trovarti spesso, prometto.

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