sabato 9 ottobre 2010

Coscienza




Ti odio. Ti odio, ti odio, ti odio ancora e ti odierò fino a quando non ti avrò più, fino a quando sarà scivolata via dal mio sangue ogni goccia di te. Quando le vene sporgeranno, bluastre, dalla pelle secca e ruvida, sfiancate e consumate dal sangue non più giovane, allora ti rimpiangerò, in un rimorso senza fondo.

Mi torci dentro, sconvolgendomi le budella: mi sparpagli i pensieri, spezzandomi le frasi in parole disordinate, come fogli che il vento, entrando da una finestra rotta, in autunno, spazza da una scrivania, nella polvere di una stanza buia, in una casa nuova già abbandonata, insudiciata da un tempo breve già passato.
Sono io che sono te? Sei tu che sei me?
Esisto, io, se non ho te, ora, adesso, in questo momento?

Sono tua: seme che semini passando sul mondo. Le mie radici, solo loro, le mie, mi separeranno da te, sarò io, tranciando lentamente ogni legame, in una tua agonia silenziosa che mi affanna, solo loro, all'uscire da me, segneranno la tua fine, la fine del tuo impero, la fine del tuo dominio, della mia sottomissione, segni del mio corpo per sempre incisi su di me a testimoniarlo, segni della tua sconfitta, segni della mia sconfitta.
Mi stringi nella tua morsa, finto sogno di libertà, finta apparenza di frivolezza. Mi stritoli, impedendomi di respirare nei giorni che scorrono troppo veloci, ma che non passano mai.
Sei la mia tortura, ma senza di te, cosa sono: una giovane senza giovinezza, cos'è?
Una giovane vecchia, vecchia, già vecchia e marcia dentro, no.
Sono un guscio vuoto: cos'è la vecchiaia, senza la giovinezza a precederla?
Cos'è la saggezza, senza l'esperienza che l'ha costruita?
Cosa sono io, se non ho te? Sono corteccia di betulla, fragile. Corteccia secca. Vuota.

Senza di te, saltate le tappe del percorso: è persa la via, sono ferma e senza aiuti in una nebbia che nasconde il sentiero, nasconde l'andata, mentre il ritorno si dissolve.
Monca, mancante di un pezzo di vita, incompleta, inutile, rotta, in attesa inutile della pace, che non arriverà, non potrà arrivare, non mi potrà trovare. La strada dell'esperienza: la giovinezza, abbandonata. È persa, persa anche l'esperienza. La vita vissuta. La vita diventa sospesa, sfiancata e senza aiuto nel cercare di raggiungere una fine che tarda ad arrivare, ferma nel movimento impercettibile, senza sapere dove andare.

Non posso eliminarti: ti devo sopportare, soggiogata dalla tua pesantezza che mi schiaccia a terra, pressata da quelle finte ali della gioventù, decantate ali della fresca leggerezza, da quelle cortine di piombo dipinto di azzurro che non mi fanno scappare: sono inserite nella mia carne, si scioglieranno in polvere, si scioglieranno i nodi che le tengono assieme, con il tempo: i complessi, le paturnie: si infrangeranno mano a mano mentre cammino, mentre striscio in una direzione che imparo.
Non posso sfilarle, quelle ali, non posso liberarmene e scappare. Devo attendere, affrontarti, combattere allo stremo fino a che, sfinita dalla battaglia, invecchiata, ti guarderò all'orizzonte allontanarti per sempre, mentre una malinconia si diffonde imperante.
Sono prigioniera di me stessa; sono prigioniera della mia giovinezza.

2 commenti:

  1. "Sono io che sono te? Sei tu che sei me?
    Esisto, io, se non ho te, ora, adesso, in questo momento?"

    Credo che mi porterò dietro queste parole per tutta la settimana.

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  2. grazie per quello che scrivi: leggerti é un piacere :)
    A presto,
    Gico.

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