mercoledì 16 marzo 2011

Le Voci Fuggono




La malga abbandonata, avvolta nel silenzio di voci fuggite e soffocate dal tempo, riempita di ricordi, passati, segreti. Il cigolio della porta ne dissacra il silenzio. Tra le pareti scrostate -la calce sporca che le imbianca ormai cade-, affiancate da cianfrusaglie polverose, risuonano silenziosi i momenti trascorsi, riso di ragazzo, sogghigno di donna, sospiro di amante; il tonfo di un piede maldestro, l'inciampo in una frase, un polverone grigio e affannoso di suoni e rumori, ma soprattutto voci, voci che ora fuggono il tempo e il rimpianto del passato, scivolando nell'aria intorbidita dall'oblio.
La porta sfondata dall'esercito barbaro dei tarli si richiude alle spalle con un cigolio; un tonfo leggero, ed è il buio, spezzato da tenui raggi di luce irregolari che penetrano le assi marce del soffitto, donando un'aria stregata di magia, brivido di pericolo addolcito dalla curiosità.
Le voci sommergono l'ascoltatore che invade la sacralità offuscata della vecchia stanza, lo intrappolano in un rete di sussurri, una tela di ragno invisibile, ma fuggono l'orecchio che cerca di seguirle, fuggono, si riparano, le voci fuggono, riservate, timide a conservare vergini i ricordi perduti, fuggono. Poi un passo all'interno, e la realtà è persa irrimediabilmente, permane solitario un corpo circondato dalla polvere del passato, tra i pensieri accatastati come le cianfrusaglie inutili, testimoni di memorie che nessuno reclama.
Un pianoforte, al centro della malga. Vecchio Bechstein, anziano e abbandonato, come il luogo che lo ospita. La polvere ne copre il coperchio e i tasti, polvere di anni trascorsi senza soccorso e senza più musica, che ormai tace imbavagliata tra le corde, prigioniera del nulla, muta.
I piedi dello strumento, intorpiditi dagli anni, sono immersi al centro di un basso specchio d'acqua rettangolare, acqua nera che riflette il soffitto e i suoi punti luminosi. Il seggiolino attende al bordo, ancorato da una gamba rovinata, asciutto e polveroso di quegli eterni giorni solitari che ossessionano la malga e i suoi ricordi. Ci sale. I piedi sfiorano l'acqua scura. Piccole onde concentriche a quel tocco.
Il seggiolino vascello parte, molla gli ormeggi e lascia il bordo, mentre le voci lo seguono, fiancheggiano la sua rotta sfrecciando come sirene urlanti, ululando tacite e arrabbiate per difendere intatto il loro granitico silenzio.
Approda allo strumento, e un flebile raggio di luce scivola fino alla tastiera. Si gonfia, fino a diventare un cono di sole bianco che traspira la polvere sottile dell'abbandono, e come un vecchio riflettore la illumina debolmente.
La tastiera coperta di sudicio luccica flebilmente negli strappi d'avorio scampati allo sporco.
Una nota scordata risuona tra le pareti, rimbalzando nella pessima acustica di quel luogo dimenticato da dio. Si perde lentamente. Un attimo di silenzio, anche le voci tacciono, e poi il suono riecheggia ancora dalla pancia del pianoforte, ed è l'inizio di una fuga a tre voci di Bach. Lo sviluppo delle parti sopraggiunge veloce, una solida rocca di note si costruisce dall'intreccio delle voci, saldamente puntellate ai tasti per non sfuggire e non cedere all'attacco del tuonare dei ricordi, che in un turbine avvolgono strumento e musicista, e come vascelli spettrali danno inizio alla battaglia. Il comandante avanza, al seggiolino, senza paura sostiene le sue parti bachiane che cantano mescolandosi nell'abisso polveroso, mentre la fuga è trafitta dagli strilli ossessivi e silenziosi di un turbine, ma procede incorruttibile, seguendo la sua melodia complessa.
Il turbine si fa spirale che investe lo strumento -onde concentriche e disturbate tremano ai suoi piedi-, mentre le voci fantasma lo bombardano di strilli perforanti, ma ormai la fuga sta terminando intatta, le voci non sono fuggite imitando le altre, il suono non si è perso tacendo il pianoforte ancora in un vuoto silenzio imperscrutabile, sono i fantasmi a fuggire mentre l'accordo finale si avvicina maestoso, il trionfo delle tre voci bachiane,
/la porta si apre, fiume di luce limpida che invade uno spicchio di stanza “Anna?”/uno sguardo attraversa il buio polveroso/
l'ultima battuta scivola nell'accordo. Le voci riposano, vittoriose.
E il pianoforte, in un'elegante piroetta elevata al cielo, si solleva dallo specchio d'acqua, fugge e svanisce nell'aria accompagnato dai ricordi del passato. Resta il vuoto, e una persona alla porta socchiusa. Dal soffitto spezzato fuggono le voci e i ricordi.
Le voci fuggono.

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