domenica 18 novembre 2012

Il Grande Riordino




Fu quando la signora delle pulizie, la mitica Signora Maria, si rifiutò di lavorare da noi per un giorno di più che capimmo di avere esagerato: è per questo che qui da noi l'estate 2012 verrà ricordata non come l'estate del Gran Caldo, ma come l'estate del Grande Riordino. Su ciò concorderanno anche i vicini, testimoni di carovane di casse di rifiuti -ovviamente differenziati- provenienti dai meandri più reconditi della nostra magione.

Dopo la dichiarazione d'indipendenza e la presentazione della “Carta dei Diritti della Signora Maria” -i quali includevano il rifiutarsi di agire in circostanze che le mancassero eccessivamente di rispetto-, la situazione che si presentava nella casa era desolante: ovunque si scontravano le grandi potenze degli assortimenti di qualsiasi cosa -dall'abbigliamento alle pietanze- schierate nelle alleanze inverno-estate. Nel limbo del salotto si potevano trovare sia gli scarponi da sci che le bucce di un'anguria, per dire, mentre in cantina si ammirava ciò che all'apparenza avrebbe potuto essere una sperimentazione di tecniche di coltura di muffe di vario genere. Davanti allo sfacelo, all'abbandono della nostra fidata alleata e alla previsione di due mesi di tempo a disposizione -vuoi che non bastino?- mia mamma, condottiera instancabile nelle sfibranti battaglie contro il disordine casalingo, decise che era il momento di prendere in mano la situazione.
Fu la fine.

Ignorando cocciutamente la proposta filiale di ingaggiare un'impresa di pulizie altamente specializzata e rendersi irreperibili per un mese, la madre, armata di sacchetti per la raccolta differenziata, scese nell'interrato, regno incontrastato del caos primordiale.
Incurante delle difficoltà che le si prospettavano si stabilì nel mezzo e diede inizio ai lavori.
Cinque minuti dopo, risalita alla luce del sole, afferrò i tre figli per le orecchie e li trascinò con sé nelle tenebre: chi fa da se fa per tre, d'accordo, ma, credetemi, in quel caso era meglio essere in quattro e magari sperare di fare per dodici.

Il casino eterno si divideva in tre principali strati: litosfera, astenosfera, mesosfera. Mai, secula seculorum, l'azione di pulizia era riuscita a giungere alla mesosfera.
Litosfera: il casino superiore. Rigido. Impenetrabile. Un manto onnipresente, composto di libri, cartoni, divani, scarpe. Romperlo per penetrare all'interno e operare alle sue spalle? Impossibile.
Unica la tattica per sconfiggerlo: smantellarlo, in un'operazione di logorio a lunga durata, per la quale la generalessa madre venne detta la Temporeggiatrice. Giorno dopo giorno, metro dopo metro, la litosfera veniva scalfita nei suoi punti nevralgici, permettendo agli scopettoni e agli stracci di insinuarsi subdoli sotto l'immobile armata difensiva, giungendo, infine, alla trionfale entrata del mocio vileda nel sottoscala. Uno a zero. Lo strato superiore era stato eliminato: i primi libri raggruppati in colonne, le scarpe in un angolo, i divani addossati alle pareti. Si cominciavano a individuare i cosiddetti “muceti”, avversari sempiterni di mio papà. Letteralmente: “piccoli mucchi” , sono costituiti di oggetti generalmente di stessa tipologia (si parla di calzini così come di telecomandi senza pile) che vanno a crearsi negli angoli o, nei casi estremi, anche nel mezzo della stanza. In questo caso costituivano i residui non eliminabili di litosfera, ed erano dappertutto.
Ma era solo l'inizio.

Astenosfera. Caratteristiche fisiche: indecifrabili. Miscuglio semovente di rottami e/o oggetti la cui data di produzione varia in un arco temporale di circa cinquant'anni.
Erano passate solo due settimane dall'inizi della missione, e il prospetto di aver compiuto solamente un terzo del lavoro era sconfortante. Fu dunque necessario l'avvento dei rinforzi: sei nuove Billy, librerie Ikea con ante di vetro e sei ripiani, la costruzione delle quali parve inizialmente essere un passo indietro nella conquista dell'ordine dello scantinato, vennero strategicamente poste ai quattro angoli dell'ampia stanza. Situata al centro del rettangolo difensivo, sedeva mia mamma, accerchiata di quaderni delle elementari, affiancata da un enorme scatolone di carta da buttare e con un vecchio quaderno tra le mani
“mamma...?”
“ma come faccio a buttarlo via! Guarda -lo apre, mostrando la mia calligrafia incerta e infantile dei primi anni delle elementari-! No posso mica buttare via tutto, come faccio!?”
Osservo la situazione: nella cassa di carta straccia, nulla. Davanti a lei, un caratteristico muceto composto di quaderni scampati al riciclo e una miriade di altri fogli evidentemente non cestinabili. Sospiro. Come convincere la propria madre a gettare per sempre un pezzo di carta, testimone immutabile di un passato, per rimanere con il mutare imprevedibile del figlio presente? Come dirle “mamma, ma hai me, adesso, me! Non il quaderno, un quaderno vecchio e muto, hai me, che cambio, che vivo: hai il mio divenire sotto gli occhi, e ti vuoi ancorare a idoli vuoti! Mamma!” e svegliarla dalla contemplazione di ciò che è andato, quando anche a noi trema la mano nel afferrare un foglio scarabocchiato quindici anni fa per buttarlo nella carta da riciclare?
Simili situazioni paiono insolubili: ed è per questo che, generalmente, mi allontano dalla scena, lasciando la mamma alle sue decisioni. Ciò porta a ritrovarsi con un gran numero di scatole clandestine pronte a essere imboscate in un luogo segreto, ma non importa.

Parallelamente all'esplorazione e decostruzione dell'astenosfera, in casa procedevano il riordino delle camere da letto e degli armadi, l'installazione di un pianoforte a muro nell'interrato, un'invasione di falene, la filiazione di tre cucciolate di gattini a distanza di quattro giorni l'una dall'altra con conseguente aumento di numero di felini casalinghi da sette a quindici, svuotamento del frigorifero -culminato con l'eliminazione fisica del leggendario Fruttolo, presente su un ripiano da tempi immemori-, e la preparazione di un esame di letteratura inglese.
A tutto ciò supervisionava, presentandosi sulla scena secondo un ciclo regolare, l'occhio critico di mio padre, perennemente scontento del procedere dei lavori.
La cerimonia del controllo generalmente si svolgeva in questo modo: il capofamiglia arrivava in ciabatte, senza annunciare la sua discesa nell'interrato. Muto e silenzioso si fermava sull'ultimo gradino della scala, quasi rifiutandosi sdegnosamente di mettere piede nel teatro dello sfacelo, e lanciava una prima occhiata panoramica sulla situazione, con espressione corrucciata.
Osservato il cantiere, scendeva pesantemente l'ultimo gradino.
Passeggiava poi a zig zag, procedendo a esaminare il progresso dei lavori, rimanendo regolarmente insoddisfatto. Inciampava su oggetti vaganti evasi dai rispettivi muceti e, imprecando contro l'inutilità degli oggetti presenti in casa, contro i regali di natale, di compleanno e di nozze, contro il consumismo, contro la società e infine contro l'umanità intera (mio padre è un uomo di ampie vedute), ci lasciava ai nostri lavori, riportando la regale presenza alla luce del sole.

Il motivo della scontentezza paterna è presto giustificabile considerando il sistema di riordino adottato nella missione. Mia madre, come del resto anch'io, è afflitta da un sindrome credo comune alla maggioranza delle DD (Donne Disorganizzate): non è capace di concentrarsi su una singola operazione, portarla a termine e poi cominciarne una nuova.
Lei inizia tutto assieme.
Ora, se fosse dotata di una seria metodicità, ciò sarebbe ammirevole: un passettino, anche se piccolo, per volta e tutto migliorerebbe. Purtroppo, com'è immaginabile, ciò che manca e la cui lacuna non può essere colmata dalla buona volontà, è proprio il suddetto metodo.
A onor del vero, un metodo di fondo c'è, ed è il cosiddetto “Metodo Cassetti”, che consiste nel cominciare le operazioni di riordino svuotando tutti i cassetti della stanza da rassettare e radunandone i contenuti in un enorme mucchio, per poi riporlo nei medesimi tiretti in posizioni differenti. Tutto ciò era già avvenuto, anzi, diciamo che era stato propedeutico all'operazione di riordino vero e proprio. Propedeutico nel senso che era stato fondamentale alla creazione della situazione di disordine maximo, senza la quale, naturalmente, il riordino non sarebbe mai avvenuto.
È quindi per questa sua particolare dote che, mentre l'attacco all'astenosfera continuava, mia mamma si mise a tinteggiare. Passarono tra le sue grinfie, nell'ordine: i vecchi scaffali Ikea rimpiazzati dalle Billy, alcune scatole di conchiglie, diversi muri, se stessa e qualche gatto. Il giorno in cui la trovai nella stanza in cui studiavo armata di rullo e vernice bianca mi domandai se tutto ciò avrebbe mai avuto una fine.
Mentre il rullo passava senza pensieri, piovevano gocce indelebili su tutto ciò che si addossava alle pareti e che, per mancanza di spazio a causa dei muceti che nel frattempo erano diventati mucioni, non poteva essere posto a distanza di sicurezza.

Questo non era l'unico inconveniente dovuto alla riorganizzazione dell'assetto casalingo che minava alla mia preparazione per l'esame anglofono.
Infatti ognuno sa quanto sia facile studiare mentre gli aspirapolvere marciano inneggiando alla pulizia. Molti conoscono la frustrazione che opprime quando, ricercando la concentrazione, echeggiano nella casa o nel quartiere note di svariati strumenti musicali che impediscono di dare senso alle parole lette o alle frasi ripetute. Pochi, credo, sanno cosa vuol dire avere un padre violoncellista che ha deciso di studiare scale e arpeggi per una porzione di futuro prossimo sconosciuta e un fratello armato di chitarra elettrica alla scoperta della polifonia.
Immaginate: il silenzio. Nel seminterrato, nulla si muove oltre a qualche muceto intento nel suo lento strisciare verso i suoi compagni.
Il libro di letteratura si apre con un fruscio. Inizia lo studio.
Dopo qualche minuto, una nota elettrica echeggia nell'aria in tutta la sua potenza: il noto ritornello di “California” dei Phantom Planet inizia a diffondersi, per poi concludersi e ricominciare per un periodo di tempo non definibile.
La frase “Thomas Wyatt (1503 – 1542) fu il primo poeta inglese che importò in Inghilterra la lirica italiana e latina.1 perde il suo significato sotto i miei occhi, mentre sento che, sovrapposta al ritornello diabolico, si snoda nell'aria un'improvvisazione di chiara impronta blues, e non solo, un martellante ritmo di batteria si inserisce a sostenere il tutto. Prima ancora di riuscire a formulare la domanda “il fratello è uno, gli strumenti sono tre, com'è possibile tutto ciò?” mi fulmina il ricordo di un regalo di natale di qualche anno fa: un temibile pedale loop, capace di ripetere all'infinito un motivo registrato dall'utilizzatore.
Mi arrendo e, chiudendo il libro, mi ritrovo intenta a canticchiare un: “nana... Californiaaa...”.

Era ormai agosto inoltrato: le giornate procedevano regolari, le ore si susseguivano in una lotta senza interruzioni, le forze andavano sciogliendosi al calore impietoso del sole, il deumidificatore era allo stremo. Le falene e i gatti non accennavano a diminuire. La mesosfera, nonostante i nostri sforzi, non accennava ad apparire.
Fu necessario un secondo viaggio all'Ikea: una parete di scatoloni svedesi pieghevoli si materializzò nel mezzo della stanza, andando a costituire un muro che separava i territori conquistati e ormai dominio dell'ordine dal caos.
L'interrato est, abitato dai miei fratelli, languiva nel degrado, vantando tra i suoi possedimenti l'incubo della Signora Maria, il Bronx dell'abitazione, il luogo in cui nessun essere di sesso femminile osava addentrarsi: la stanza dell'XBox, la quale conteneva, oltre alla citata box, anche molte altre box, il cui contenuto si perdeva nei meandri dell'oblio, ma che ci sentivamo legittimati a dedurre essere i polverosi giochi della nostra infanzia. Tra questi: le Barbie (a cui erano stati fatti i fanghi, tatuaggi osceni e diverse operazione di amputazione di arti e/o scatola cranica dalla fluente chioma), le macchinine (sottoposte più volte a controlli meccanici di dubbio beneficio), i mitici dinosauri (testimoni inconfutabili di un trascorso felice dell'ex-infante).
L'interrato ovest lottava senza tregua contro i moti di ribellione del disordine sconfitto, il quale andava riproponendosi e ripresentandosi insistentemente. Soldati instancabili nonché spie infiltrate al suo servizio, i miei fratelli. Con continui e subdoli attentati minavano alla nostra pazienza, stimolavano il caos a riprendere i suoi possedimenti. Cercando di minimizzare, noi paladine del mocio vileda denominammo la situazione il “Problema Calzini”, con chiaro riferimento alle tracce di calze randage che venivano rinvenute nei luoghi del loro passaggio.

Ora, dacché tutto ciò è iniziato a Luglio e ora siamo a Novembre inoltrato, ci si aspetterebbe che ormai la casa fosse in ordine lindo e perfetto, organizzata secondo rigidi schemi imposti dall'alto e reintegrata dalla presenza della Signora Maria.
Purtroppo, dopo il breve progresso ottenuto alla fine di agosto, l'assenza trigiornaliera della condottiera madre causa micro vacanza causa mezzo esaurimento nervoso causa eccessiva dedizione alla causa, fu letale: il miglioramento ottenuto franò miseramente. L'astenosfera si rafforzò fino a ricreare la temuta litosfera. La babele di scatoloni sfondati e peli di gatto era rinata.

A puro titolo informativo, per concludere, la signora delle pulizie non fece mai ritorno. Leggende narrano essersi sposata con un miliardario titolare di un'impresa di pulizie di fama internazionale, o essere chiusa in un manicomio, intenta quotidianamente in un balbettio spasmodico e perpetuo.
Forse, prospettiva inverosimile ma augurabile, è anche tornata.
Il disordine, tuttavia, ci impedisce di avvistarla.





1 Bertinetti, P. (2000) (a cura di) “Storia della Letteratura Inglese” Einaudi, Torino

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